Luce e Arte contemporanea

Venezia. Biennale Arte 2019. Luce come materia e tecnologia

Korakrit Arunanodchai (1986, Thailandia) (in collaborazione con Alex Gvojic) (cortesia: Venezia, Biennale Arte 2019)

A Venezia nel contesto della Biennale Arte 2019 la luce come materia e tecnologia narrativa dell’opera è un elemento ricorrente nella produzione proposta da molti degli artisti presenti alla mostra internazionale.

In particolare, fra gli artisti invitati all’edizione di quest’anno, dal titolo “May you live in interesting times”, curata da Ralph Rugoff e visitabile fino al 24 novembre 2019, vorremmo segnalare l’opera del thailandese Korakrit Arunanodchai (classe 1986), che utilizza la luce nelle sue forme più tecnologiche – come la luce laser e le videoproiezioni dinamiche e in sincrono negli spazi dell’Arsenale, in un’installazione su tre schermi realizzata con la collaborazione di Alex Gvojic (1984, Stati Uniti) – per aprire una riflessione fra le interazioni esistenti fra gli ambienti naturali e i mutamenti sociali e culturali della realtà di un paese come la Thailandia.

Un’altra interessante suggestione critica viene dal lavoro dell’artista tedesca Hito Steyerl (classe 1966) che costruisce una lettura delle menzogne poste in essere dall’apparire sul mercato dei primi prodotti e applicazioni realizzate dall’intelligenza artificiale, che si è manifestata anche nel mondo dell’arte.

Hito Steyerl (Germania, 1966) (cortesia: Venezia Biennale Arte 2019)

L’artista invita tutti alla comprensione del pericolo insito nelle implicazioni sociali di questa tecnologia, attraverso l’organizzazione di uno spazio espositivo costruito sull’idea di un percorso che chiama a testimonianza positiva l’operato di autori come Jules Verne, Philip K. Dick o Leonardo da Vinci e un’idea virtuosa del futuro della tecnologia.

Nel lavoro della francese Dominique Gonzalez-Foerster (1965) la luce è di nuovo una metafora visiva e evocativa per sottolineare la dimensione dell’Immaginario, che è quella del fantastico e del fantascientifico ma risiede anche nel concetto di simulazione e nella costruzione di realtà virtuali e immersive delle quali l’artista si serve citando l’opera di scrittori storici nel genere, come Ray Bradbury (con “Cronache marziane”, 1950), o rappresentando il potere stesso insito nell’immaginazione individuale, con la creazione attraverso la realtà virtuale di nuove dimensioni temporali e mentali, dove gli spettatori-attori dell’opera sono messi in condizione di modificare se stessi e ciò che li circonda.

Dominique Gonzalez-Foerster (1965, Francia) “Endodrome” (cortesia foto: Venezia Biennale Arte 2019)

L’opera dell’artista americano Christian Marclay (1955) si basa invece sul campionamento di immagini e suoni e lavora quindi sulla materia della “luce in movimento”, partendo dal materiale storico dei film hollywoodiani, per realizzare montaggi di varie scene e dare forma a nuove narrazioni e proiezioni su più schermi.

Christian Marclay (1955, USA) (cortesia foto: Venezia Biennale Arte 2019)

In ultimo, ma non meno importante, citiamo il lavoro dell’artista Alex Da Corte (1980, Stati Uniti) per il quale la luce è uno dei più importanti strumenti tecnici per la regia di una finzione che Da Corte crea in modo sistematico nelle sue opere-installazioni.

Alex Da Corte (1980, USA) – “The Decorated Shed “(2019) (cortesia foto: Venezia Biennale Arte 2019)

Gli ambienti da lui realizzati sono infatti paesaggi nei quali lo spettatore-osservatore è chiamato a partecipare senza però poter creare in essi una vera interazione.

(Massimo Maria Villa)