Key Light - Luce e Cinema

‘Il racconto dei racconti’ -Tale of Tales

Dora nel bosco (“Tale of Tales”)

‘Chi cerca chello che non deve, trova chello che non vole’ (“Lo cunto de li cunti”, di Giambattista Basile).

“Tale of  Tales” (2015)

Tratto da tre delle cinquanta fiabe di Giambattista Basile, scrittore napoletano del ‘600, che – come disse Benedetto Croce – va ammirato al pari dei fratelli Grimm, il regista Matteo Garrone trasforma con avidità visiva le storie che vedono protagonisti re, regine e mostri alle prese con i loro desideri e le loro ambizioni.

Le atmosfere di questo film scavalcano le parole e doppiano luoghi e colori in uno sguardo privo di incanto ma carico di sensualità.

“Quando ho ricevuto la telefonata di Matteo sono rimasto molto sorpreso. Avevo già visto ‘L’imbalsamatore’ e ‘Gomorra’ e ho sempre pensato che fosse un regista di talento. Prima di venire a Roma avevo visto ‘Reality’, il suo ultimo film e ho guardato attentamente come era stato fotografato.

Matteo Garrone sul set

Ho chiesto a Matteo se voleva girare ‘Tale of Tales’ così come era stato girato ‘Reality’. Gli ho chiesto abbastanza francamente se aveva il cast giusto per girare a 360°.

Perché se la camera gira a destra a sinistra, in avanti e indietro, l’unica possibilità che ho di mettere la luce è in alto o dietro la camera, ma nessuna di questa soluzioni produce un risultato fotografico interessante. (…) Matteo mi ha risposto che ogni film deve avere il suo proprio stile e che avremmo trovato una soluzione.(…)”.

Un’esperienza tecnicamente complessa

Peter Suschitzky ammette che il film di Garrone è stato il più difficile che abbia mai fatto. Il cinematographer di origine polacca, figlio del fotografo e direttore della fotografia Wolfgang Suschitzky, e storico collaboratore di David Cronenberg, non ama i long take e preferisce lavorare con precisione sapendo dove sta e cosa fa l’attore durante una scena. “Non avevo mai fatto un film usando lo steadicam in quasi tutte le inquadrature.

Peter Suschitzky

Mi piace la precisione e lo steadicam non è mai preciso al 100%, anche se lavori con uno steadicam operator molto bravo. La camera è sempre in una posizione diversa. Sentivo istintivamente, però, che il desiderio di Matteo era di filmare così. (…) Da un punto di vista stilistico il risultato è stato buono e sono orgoglioso di aver fatto questo film”.

Se il cinema di Cronenberg è fermo, posato e ponderato, il cinema di Garrone, e in particolare questo film, è vibrante, fisico. Garrone ama essere lui stesso il camera operator e in tutti i suoi film si cimenta dietro l’obiettivo. La cosiddetta macchina a mano aumenta poi l’intrinseca cinematica del film: in questo film è stata sostituita dal rinomato steadicam, il supporto per eccellenza per stabilizzare le riprese in movimento.

“Ad essere sinceri Garrone non si è adattato molto, voleva muovere la camera tutto il tempo. Gli ho detto che dovevamo trovare un bravo steadicam operator. Avevo già visto dei lavori precedenti di Alex Brambilla che in effetti si è rivelato una persona eccezionale e un bravissimo operatore steadicam, un artista.”

I riferimenti iconografici e la qualità della luce utilizzata

Anche se non dichiaratamente, in questo film i colori, le figure, gli spazi, la luce sono ispirati dalla pittura pre-raffaellita. Così ci dice Suschitzky “Sono molto interessato alla pittura. Sono sposato con una pittrice. Guardo molti quadri per il mio piacere. Non è possibile copiare un dipinto, visto che nella pittura tu puoi vedere sulla tela il tocco del pennello del pittore. Il processo filmico è meccanico e ottico e non devi farlo vedere. Quando inizio a fare un film non penso alla pittura, però ho molti quadri dentro di me. Non penso mai che il mio lavoro debba somigliare al lavoro di quel pittore o a quella pittura.”

I dipinti di Dante Gabriel Rossetti e, più vicino a noi, le immagini di John William Waterhouse, il preraraffaellita moderno, ci restituiscono un gotico colorato. Il clima voyeuristico dominato dalla carnalità, dai colori porpora, immerge il mood del film in una sorta di punk eccentrico ed ingenuo.

Un apparecchio LED MAC TECH

“Nel film, l’albero ai cui piedi scorre la primavera svolge un ruolo determinante.

Mi ha creato un po’ di problemi il contrasto con lo sfondo: così ho scelto di illuminare con i 12K HMI (12.000 W con lampada a scarica HMI) e rinforzare l’ambiente con i LED MAC TECH mantenendo l’immagine molto morbida”.

Il lavoro del cinematographer, che fra gli altri film ha firmato la fotografia de
‘L’Impero colpisce ancora’, si contraddistingue qui per un pacato uso della luce sull’incarnato. La conferma ci viene anche dal fatto che per questo film Suschitzky ha scelto gli obiettivi Primo Panavision, una serie che ormai ha più di quarant’anni ma che si sposa bene con l’’aggressiva’ immagine del digitale.

“Per me le lenti sono una scelta molto importante: è l’occhio attraverso cui si vede il film. Il sensore e il processo digitale rivelano molto dettaglio, molto più della pellicola. Per me è importante scegliere un obiettivo ‘gentile’, non ‘duro’, inciso. Mi piace lavorare con i Panavision Primo, obiettivi degli anni ’80 che sono più morbidi con il volto”.

Se avessi potuto scegliere di girare il film in pellicola lo avresti fatto?

“Preferisco lavorare in Digital Cinema. Sento di non dover tornare indietro. Durante le riprese con la pellicola sentivo la macchina da presa come parte del mio corpo. Illuminavo e guardavo la luce attraverso la loupe ottica. Il processo di cattura digitale è differente dall’occhio: in un certo senso vedi di più, ma reagisce in maniera diversa dalla pellicola. Un aspetto positivo sono le alte sensibilità che richiedono molta meno luce.

Il digitale rivela molti più dettagli nelle ombre, cosa che la pellicola non faceva. Tempo fa mi è capitato di vedere un film di Cronenberg che avevo fatto e che non vedevo da tempo, una proiezione in pellicola. Molti dettagli si sono persi con le copie.  Ogni spettatore non vedrà mai la copia originale. Con il digitale questo problema non esiste.”

Per questo film hai vinto il David di Donatello. Se dovessi essere tu ad assegnare un premio Best Cinematography cosa premieresti?

“Quando vedo un film non guardo la fotografia. Mi piace essere come qualunque spettatore. Non posso immaginare che un mio film possa essere separato dall’intero lavoro del regista, degli attori, della sceneggiatura. La fotografia deve essere integrata con tutto il lavoro. Guardo la fotografia come contributo per la riuscita del film: deve essere in sintonia con il film. Quando incontro dei giovani cineasti gli dico sempre di guardare i loro film preferiti, di chiedersi come sono stati girati, perché hanno usato quegli obiettivi e non altri. Continuare a guardare il lavoro degli altri, di chi disegna, di chi dipinge, di chi fa musica, letteratura. E’ importante per capire come raccontare una storia.” …e come raccontare un racconto.

(Alessandro Bernabucci, Education Manager SHOT Academy – Formazione professionale per il Cinema, Roma)

IL RACCONTO DEI RACCONTI (2015)

di Matteo Garrone

Direttore della Fotografia: Peter Suschitzky

TECHNICAL SPECIFICATIONS

Camera: Arri Alexa XT

Lenti: Panavision Primo

Negative Format: Codex

LINK

http://petersuschitzky.com/

Per un portfolio di immagini realizzate sul set