
L’uso di sistemi automatizzati per la gestione dell’illuminazione, che “dosi” il livello di questa alle effettive esigenze presenti nei vari momenti, a seconda della quantità di luce naturale esistente e delle concrete necessità degli utilizzatori, è certamente una variabile importante sia per migliorare la qualità e il comfort, sia per conseguire obiettivi di “sostenibilità” del consumo energetico ad essa relativo, tanto negli ambiti privati, che in quelli pubblici
Gli obiettivi di gestione possono venire conseguiti attraverso l’utilizzo di componenti elettronici, sensori e software di controllo, per i quali ovviamente l’utilizzo di tecnologie innovative pone per le imprese e i progettisti il problema di valutare come tutelarsi al meglio rispetto ai concorrenti. Di per sé, come già altre volte ho avuto occasione di notare, in linea di principio l’introduzione di una nuova tecnologia è un evento “neutro” rispetto al diritto della proprietà intellettuale: questo infatti detta regole che, con poche eccezioni, si applicano a tutti i settori della tecnica, secondo il principio espressamente enunciato dall’art. 27 del TRIPs Agreement, che la revisione del 2010 del Codice della Proprietà Industriale ha trasfuso anche nel nostro diritto interno, all’art 45 C.P.I.
Può quindi accadere che le nuove tecnologie di questo specifico settore formino oggetto di un’esclusiva brevettuale, sia in sé, sia per suoi specifici sviluppi, e magari che rappresentino un’alternativa rispetto ad altre modalità realizzative di prodotti già esistenti, utilizzandoli in modo nuovo o servendosene come componenti di un sistema più complesso; in questi ultimi due casi, naturalmente, se tali prodotti sono ancora tutelati da esclusive di prodotto (in particolare, brevetti per invenzione), essi non possono essere fabbricati industrialmente e commercializzati neppure con la nuova tecnica successivamente divenuta disponibile senza con ciò ledere queste esclusive, alle quali quindi occorre prestare particolare attenzione.
A questo riguardo, infatti, va anzitutto ricordato che la protezione offerta da un brevetto di prodotto a norma dell’art. 67, comma 2° del Codice della Proprietà Industriale italiano (la cui disciplina è peraltro armonizzata rispetto alle principali convenzioni internazionali in materia, ed in particolare al già ricordato TRIPs Agreement e alla Convenzione sul Brevetto Europeo) consente di «vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione».
Più in generale, al titolare di un brevetto è riservata ogni forma di attuazione dell’insegnamento oggetto del brevetto e ogni atto che da esso tragga profitto nel territorio dello Stato, come recita testualmente il primo comma della stessa norma.

La ‘spada di Damocle’ della contraffazione
Anche la circostanza che si ottengano prodotti o sistemi qualitativamente migliori non vale di per sé ad escludere la contraffazione: le regole appena ricordate non patiscono infatti eccezioni neppure per il caso in cui il prodotto realizzato da un soggetto terzo senza il consenso del titolare dell’esclusiva risolva problemi ulteriori o presenti una qualità migliore rispetto all’originale quando venga comunque attuato l’insegnamento oggetto delle rivendicazioni del brevetto.
Sia in dottrina, sia in giurisprudenza è anzi sostanzialmente pacifica l’opinione secondo cui la sussistenza della contraffazione non è esclusa neppure dall’aggiunta di caratteristiche (e a fortiori dall’ovvia sostituzione di caratteristiche brevettate, che dà luogo alla c.d. contraffazione per equivalenti) che porti ad ottenere risultati migliori (o peggiori): anche in questo caso la contraffazione andrà riconosciuta in quanto il miglioramento (o il peggioramento) conseguiti comportino comunque l’attuazione del brevetto – e quindi appunto una realizzazione che riproduca, direttamente o per equivalenti, le caratteristiche rivendicate come soluzione del problema tecnico oggetto del brevetto –, pur aggiungendo ad essa elementi ulteriori migliorativi (o peggiorativi).
Se inventivi, peraltro, il miglioramento conseguito o la nuova soluzione offerta a un problema tecnico possono essere autonomamente brevettati, fermo restando quanto si diceva sopra sulla possibile “dipendenza” dell’innovazione così realizzata da altri brevetti preesistenti di altri.
Per questa ipotesi è teoricamente aperta la possibilità di ottenere una licenza obbligatoria dal titolare, a norma dell’art. 71 C.P.I., quando l’innovazione successiva rappresenta “un importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica”: la relativa procedura, tuttavia, è macchinosa e largamente discrezionale, per cui l’ottenimento di una licenza (o l’acquisto dal titolare delle componenti originali brevettate) è normalmente preferibile.
Come viene considerato il software
Un tema particolarmente delicato è rappresentato dall’importanza che il software presenta nei sistemi di gestione dell’illuminazione. In sé considerato, infatti, il software non è brevettabile, perché rientra nel novero delle realtà che, a mente dell’art. 45 C.P.I. (e del corrispondente art. 52 della Convenzione sul Brevetto Europeo) “non sono considerate come invenzioni”, ed è quindi tutelato dal diritto d’autore, dunque non per le idee che stanno alla base di esso, ma solo per l’espressione formale: in pratica, per l’algoritmo del suo codice sorgente e per l’aspetto esteriore delle “schermate” (o delle transizioni) che appaiono sul computer.
Ma il comma successivo della stessa norma precisa che il divieto vale solo se il software è “considerato in quanto tale”: se invece il software è utilizzato per risolvere un problema tecnico ulteriore al mero funzionamento del computer su cui è installato, ed in particolare quando serve per gestire una macchina o un sistema esterno al computer (nel nostro caso, quando serve a gestire un sistema di illuminazione), esso diventa brevettabile – naturalmente, se è nuovo ed inventivo – in relazione a tale utilizzazione.
Non solo. Quando un’invenzione consiste nello schema concreto (e non puramente astratto) di collegamenti che consentono a un sistema di funzionare, anche questo schema diventa brevettabile, perché – come precisano le Guidelines dell’Ufficio Europeo dei Brevetti – “se la rivendicazione indica computer, reti di computer o altri apparati programmabili, o un programma ad essi relativo, per realizzare almeno alcuni passaggi di uno schema, essa deve essere esaminata come un’invenzione attuata per mezzo di elaboratori elettronici”, o, come normalmente si dice, una computer implemented invention, che è brevettabile alle solite condizioni che valgono per tutte le invenzioni, e cioè se è nuova, inventiva, lecita, suscettibile di applicazione industriale e descritta in modo idoneo a consentire ad un tecnico del ramo di attuarla.
Dunque, i sistemi di gestione dell’illuminazione rappresentano una sfida non soltanto sul piano strettamente tecnico, ma anche su quello della protezione: davanti a ogni nuova creazione occorre domandarsi – prima di divulgarla, perché la divulgazione comporterebbe la perdita della novità e quindi l’impossibilità di brevettare validamente – se e quali forme di tutela sono disponibili e agire di conseguenza, sempre rivolgendosi ad esperti che siano in grado di valutare al meglio le strade da percorrere, in modo che le innovazioni realizzate possano diventare plus concorrenziali in grado di rendere più competitiva l’impresa che le ha create, senza essere subito imitate legittimamente dagli altri player del settore.
Avv. Prof. Cesare Galli, Studio IP Law Galli, Milano