
Uno spazio che propone una serie di casi esemplari della relazione fra luce e design, declinati ogni volta da una parola guida.
Parola Guida: START UP
Victor Margolin, lo storico e teorico del design americano, sostiene che lo scopo ultimo del Design è contribuire alla creazione di una good society, termine con il quale intende una società in grado di assicurare che tutti i cittadini possano ricevere i beni e i servizi di cui hanno bisogno per sopravvivere con dignità.
Con pragmatico idealismo al design è affidato il compito di costruire modelli e prototipi di attività di come la società potrebbe essere nel futuro. Quando parliamo di start up ci riferiamo ad aziende prototipo, ma potremmo anche intendere queste aziende in embrione come prototipi di una società futura.
È noto come i garage siano stati, nel corso del ‘900, gli incubatori di alcune delle più grandi aziende americane: nascono nel garage di casa HewlettPackard, Mattel, Lotus, Apple e altre start up ancora divenute poi holding.
Anche il laboratorio di Menlo Park, nei pressi di New York, dove Thomas Edison trafficava con le sue invenzioni era poco più di una baracca a due piani quando, nel 1878, Edison decide di sviluppare il progetto dell’illuminazione elettrica. Definiti con il metodo del brevetto a grappolo tutti i componenti del sistema – dal bulbo al filamento, dall’attacco al contatore elettrico – realizzato che non era la lampadina il suo core business, ma la vendita dell’energia elettrica, Edison pensò fosse necessario prototipare l’intero sistema.
Pochi anni dopo, realizzata una centrale a carbone in Pearl street e utilizzando le condutture del gas per il passaggio dei cavi dell’alimentazione elettrica, realizzò un esperimento di cablaggio in un intero isolato di Manhattan. Alla Edison Illuminating Company era affidato il compito di diffondere il modello della start up newyorchese.
La luce elettrica per tutti nasce dunque tanto dal perfezionamento delle invenzioni, quanto da quel primo prototipo d’azienda con una mission di proselitismo tecnico-commerciale.
Da un approccio product oriented a marketing oriented
Secondo Giulio Castelli le aziende del design italiano sono state quasi tutte start up. Il racconto che ne ha fatto nel libro “La fabbrica del design. Conversazioni con i protagonisti del design italiano”, è ricca di spunti su questo tema degli “esordi” dell’imprenditoria italiana nel campo dell’arredo e della luce.
La differenza fondamentale, rilevava Castelli, è che si trattava di aziende product oriented, mentre oggi che il focus è sul mercato e non sul prodotto, le aziende si sono trasformate in marketing oriented. Le start up, focalizzate sul prodotto, hanno maggiori possibilità di rompere gli schemi rispetto alle aziende focalizzate unicamente sul mercato, la cui analisi può portare certo anche a visioni strategiche, ma generalmente supporta le consuetudini di consumo.
In questo senso la storia della nascita di Flos è significativa e per quanto assai nota, vale la pena metterne in evidenza due aspetti: i ruoli diversificati dei protagonisti e la libertà propositiva accordata ai progettisti. Alla fine degli anni ’50 del Novecento un imprenditore bolognese che frequentava spesso Milano, Dino Gavina, un imprenditore brianzolo visionario, Cesare Cassina, e un albergatore di Merano, Arturo Eisenkeil, si uniscono in una strana operazione industriale.
Eisenkeil ha ottenuto dalla casa madre americana i diritti di utilizzo del brevetto di una resina, il Cocoon, con cui produce un catalogo di lampade a diffusore. Le lampade assomigliano eccessivamente a quelle che Isamu Noguchi disegna contestualmente per Herman Miller. A originalità di brevetto non corrisponde originalità di disegno.
Nel 1960 Gavina mette così in contatto Eisenkeil con Achille e Pier Giacomo Castiglioni e Tobia Scarpa, che progettano una serie di diffusori a sospensione e da tavolo. La materia prima, il Cocoon, è molto costosa, per cui il disegno deve far “rendere” al massimo la superficie dell’involucro lattiginoso, inoltre il catalogo coi soli diffusori è limitato.

Il problema diventa di posizionamento commerciale dei prodotti ed entra a quel punto in gioco – come sappiamo – Sergio Gandini, che rileva da Gavina, Cassina e Eisenkeil (che rimane fornitore), l’azienda.
Paradossalmente, l’elemento di continuità nella genesi della start up diventano i progettisti, che infatti rivendicheranno, come ricorda Tobia Scarpa, un ruolo di art direction e un grado di libertà propositiva che nessuna altra azienda di quegli anni ha mai garantito a un designer.
Erano lampade accessibili? Si trattava di design democratico? Molto più di oggi. Se guardiamo i listini di allora scopriamo che la “Relemme” costava 7.800 lire (86 euro odierni), la “Taraxacum” in Cocoon 36.000 lire (390 euro d’oggi).

Quale insegnamento trarne? Che sono necessari gli incubatori (Gavina), i finanziatori (Cassina), la conoscenza del mondo internazionale dei brevetti e dell’evoluzione delle materie prime (Eisenkeil), che è necessaria una competenza commerciale (Gandini), e che è stata fondamentale, nell’Italia di quegli anni, la visione, il gusto, la sensibilità, la capacità di sintesi progettuale dei designer.
Ci vuole insomma un concerto, le start up non sono materia per solisti.
(a cura di Dario Scodeller – critico e storico del design, Venezia)