Luce & Food

Per il cibo sostenibile

Londra, “Daylesford Organic”. Questa catena si propone al cliente nell’aspetto suggestivo di un farm-shop, un mercato contadino in centro città. La retorica del cibo sano, “from the field to the table” vede la luce in pieno supporto del tema retorico della comunicazione (foto: cortesia dell’Autore)

Uno spazio che propone una serie di casi esemplari della relazione fra luce e design, declinati ogni volta da una parola guida

PAROLA GUIDA: Luce & Food

Mentre all’inizio del XX secolo a Dornach Rudolf Steiner disegnava il suo Goetheanum espressionista ed elaborava le teorie metafisiche della coltivazione biodinamica, al Bauhaus di Weimar lo zoroastriano Johannes Itten suggeriva ai suoi allievi la dieta vegetariana, imponendola poi alla mensa della scuola.

Le community (progettanti o autoprogettanti) hanno sempre considerato il cibo quale parte integrante della propria filosofia identitaria.

Negli anni ’60 e ’70 le comuni hippy americane, pacifiste e autoproduttrici, sono state tra le prime a favorire la coltivazione del cibo biologico; come azione di controcultura, poiché le multinazionali che sintetizzavano anticrittogamici realizzavano anche i prodotti chimici usati dall’esercito.

A metà anni ’70, dopo un’esperienza in una di queste comuni, un giovane californiano vegetariano pensò che una mela potesse essere il simbolo più adeguato per un nuovo rivoluzionario strumento di controcultura, il personal computer, e per identificarne la community di utenti. A quell’epoca la dieta macrobiotica era il viatico che accompagnava il ritorno dall’Oriente dei figli dei fiori, così come oggi il veganesimo identifica una variegata comunità convinta che quella dieta contribuisca a rendere il pianeta più sostenibile.

E mentre il successo internazionale di Eataly sembra realizzare il sogno visionario di uno slowfood italiano local-global accessibile (non ancora per tutti), il Nobel per la pace 2020 viene assegnato al World Food Programme e la FAO ci avverte che in un futuro prossimo una scelta sostenibile sarà l’entomofagia, cioè il cibarsi di insetti.

Come ha insegnato Piero Camporesi nel suo Il governo del corpo, il cibo e i suoi rituali sono da sempre attraversati da tendenze, manie, mode e gusti, che trasformano le modalità di fruizione e creano nuove forme di narrazione.

La luce a supporto del Bio come mercato locale a km 0

A Londra – imitando gli esempi storici della monumentale e storica food hall di Harrod’s e del sofisticato food market di Harvey Nichols – la grande distribuzione ha collocato da oltre un decennio il cibo e il vino accanto agli spazi della moda, mentre i ristoranti vegetariani sono quasi scomparsi, lasciando il posto a locali dove si consuma e acquista organic food; ciò che per noi è il cibo biologico.

Pioniera in questo ambito è stata la formula “Daylesford Organic”, che ha proposto l’idea suggestiva di un farmshop, un mercato contadino in centro città: in questo modo – parallelamente al diffondersi degli orti urbani e persino dell’apicoltura urbana – la retorica di un cibo sano – “from the field to the table” – assume le forme narrative di spazi dal gusto contemporaneo e sofisticato, in cui una natura ubertosa è proposta espositivamente come cornucopia.

Londra, “Daylesford Organic”. La dialettica città-campagna è alla base di molti design-concept d’interni in cui l’uso dei materiali e la luce assolvono il compito di sostenere la retorica comunicativa di queste formule commerciali (foto: cortesia dell’Autore)

Questa dialettica città-campagna è alla base di molti design-concept d’interni in cui l’uso dei materiali e la luce assolvono il compito di sostenere la retorica comunicativa di queste formule commerciali: l’apparato retorico richiede l’uso di legni chiari o di variegati toni di bianco per far risaltare i verdi e i colori degli ortaggi e della frutta.

Significativo, in tal senso il piccolo negozio della formula “Natoora” in Fulham Road, concepito come una drogheria fashion, in cui ortaggi e frutta senza packaging sono esposti mescolati a prodotti in vaso o in confezioni di carta.

Londra, “Natoora”, Fulham Road. Il concept è quello di una drogheria fashion-shop, in cui ortaggi e frutta senza packaging sono esposti mescolati a prodotti in vaso o in confezioni di carta. La luce si accompagna coerententemente con questo storytelling (foto: cortesia dell’Autore)

La luce si accompagna coerententemente con lo storytelling. E – se nei “Daylesford Organic” la luminosità simula quella degli scintillanti cieli campestri da cui i cibi provengono, anche con un’apertura al daylight – nei ‘Natoora’ la luce sembra filtrata da fitte fronde arboree o dalle trame di una pergola.

Londra, “Natoora”, Fulham Road. La luce nella sua distribuzione disomogenea e casuale nell’ambiente – ma ben calibrata e studiata nello shelving – rende l’ambiente informale e accogliente (foto: cortesia dell’Autore)

Una luce che nella sua distribuzione disomogenea e casuale nell’ambiente – ma ben calibrata e studiata nello shelving – rende l’ambiente informale e accogliente e contribuisce a trasferire l’aspettativa di un sapore e di un gusto (flavour) che dovrebbe contraddistinguere questi prodotti creando, in definitiva, una comunità di affezionati frequentatori.

La GDO e la nuova fiction

Le formule della grande distribuzione del biologico sono tuttavia quelle che pongono oggi ai designer della luce i temi di progetto più rilevanti, che derivano anche dalla perdita di quell’alfabeto differenziato di sorgenti che garantiva per via alchemica le intonazioni di colore adatto all’esaltazione delle varie merceologie, in particolare nelle zone del fresco: il fluo rosato per le carni, i Kelvin alti e la luce fredda per il pesce, gli spettri esaltati sui rossi e i verdi per frutta e verdura.

Così oggi, agli spettri calibrati dei LED, spesso corretti con parabole colorate, spetta l’onere di far sembrare più naturali e sostenibili prodotti del tutto simili a quelli dei normali supermercati. Uno storytelling difficile da sostenere, anche con i più sofisticati spettri di emissione delle sorgenti.

(a cura di Dario Scodeller, storico e teorico del Design, Venezia)