
Uno spazio che propone una serie di casi esemplari della relazione fra luce e design, declinati ogni volta da una parola guida
PAROLA GUIDA: Luce integrata e futuro domestico
Se dobbiamo affidarci alla visione che del futuro ci offre “The Midnight Sky”, il film recentemente diretto e interpretato da George Clooney, l’interno luminoso che ci aspetta dei nostri spazi abitati sarà caratterizzato da un mix tra la luce pallida dei monitor e quella diafana delle superfici luminose OLED integrate all’arredo. Ci dovremo dunque rassegnare in futuro alla scomparsa dell’oggetto lampada?

Dalla TV al PC
Fin dal suo apparire, la luce (prima catodica e poi “liquida”) dei monitor entra in conflitto con l’illuminazione domestica. Ci si rende subito conto che, a differenza del cinema (che è uno spettacolo a luce riflessa), l’ambiente-luce della TV affatica gli occhi: il vetro catodico è pur sempre una lampada ai fosfori a luce diretta. Il compromesso è la lampada abat-jour sopra al televisore, che attenua il contrasto attraverso una mite illuminazione d’ambiente.
Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, chi lavora nell’industria elettronica può già prevedere il futuro. “Il televisore diventerà sottile come un quadro e lo potrai appendere al muro”, diceva il signore che riparava, periodicamente, la TV: a quel tempo gli oggetti si rompevano spesso, ma si potevano ancora aggiustare.
Mentre lo screen si evolve e diventa flat (dovrà trascorrere circa un ventennio), compare nelle abitazioni un altro schermo catodico: quello del personal computer. I primi PC usano le TV di casa come monitor e poiché negli USA, negli anni Settanta, i televisori sono già a colori, una pubblicità dell’Apple II del 1977 immortala un signore che lavora comodamente in cucina, elaborando sul monitor un grafico colorato: è l’invenzione dell’home-working.

In un prossimo futuro – ci diceva negli anni Ottanta Perry King in una lezione
universitaria – disegnare forme tridimensionali diverrà un problema, perché l’elettronica farà perdere progressivamente spessore alle cose. King, che lavorava per Olivetti, confermava quanto il signore che riparava le TV aveva già in precedenza profetizzato.
Uno spazio-luce personale
A New York, a metà degli anni Novanta, si rimaneva ammirati, nel sofisticato showroom Sony, dai grandi flat screen integrati alle pareti in palissandro, che anticipavano quella nuova tendenza degli interni che prenderà il nome di home theater. Ricomparivano, in quei soggiorni-teatro, delle lampade eleganti, con paralume in stoffa o vetro opalino, per avvolgere lo spettatore e il suo relax in una luce morbida e suadente.
Da allora, la casa si è andata via via costellando di PC portatili, i cui schermi, seguendo i loro utilizzatori, illuminano come abat-jour lo spazio dei tavoli da lavoro: che sono i tavolini delle camere-studio o i tavoli delle cucine. Uno spazio-luce personale che – costrette nell’ultimo anno molte attività di studio e lavoro nello spazio domestico – ha pervaso ogni angolo della casa. Per un po’ di tempo ci siamo comportati con i PC come con la TV, affiancandogli delle mini abat-jour, o delle lampade a braccio, che attenuavano il contrasto con una luce d’ambiente, per un migliore comfort visivo. Infine, quando le tastiere sono diventate luminose, abbiamo rinunciato anche a quella “luce di compagnia”.
Questa scomparsa e ricomparsa periodica dell’oggetto lampada accanto ai monitor, potrebbe significare che non riusciamo ad abituarci (a rassegnarci) al fatto che essi siano sorgenti di luce; una luminosità che oggi, tra PC, tablet e smartphone, ci accompagna perennemente, anche nelle ore diurne, tanto che non possiamo più dire che esista un ambiente di lavoro pervaso dalla sola luce naturale.
Contemporaneamente, se questi dispositivi sono le nostre lucerne contemporanee, che ci seguono, mobili, nei vari ambienti della casa, assorbendo molto del nostro tempo e dei nostri compiti visivi, di quale altra luce abbiamo bisogno? Di quale altra luce ci dovremmo circondare, se non una luce di percorso, che segnali i margini, i limiti dello spazio in cui viviamo.
La luce integrata
L’oggetto lampada scomparirà, dunque, per lasciare spazio a una luce integrata nell’arredamento? Nella sua definizione di architettura integrata, Frank Lloyd Wright scriveva, nel 1910, che nell’architettura organica non è possibile considerare l’edificio una cosa, e l’arredamento un’altra, in quanto essi vanno concepiti come un unicum e, nel suo disegno, vanno integrati anche arredi e impianti. Non si tratta di unità stilistica, ma di una concezione spaziale.
Non sappiamo ancora se l’organicismo luminoso diverrà la tendenza dei prossimi decenni. Se così fosse, dovremmo orientarci verso un’integrazione della luce nello spazio delle abitazioni, riprogettarne gli strumenti, pensando all’oggetto d’arredo come a un oggetto portatore di luce. Il “mobile luminoso” potrebbe così rappresentare un bel tema per integrare i prossimi Saloni del Mobile e della luce.
(a cura di Dario Scodeller – storico e teorico del Design, Venezia)