
Alaska Natural Organics ha messo a punto in un vecchio magazzino una coltivazione di colture idroponiche per ortaggi a foglia verde, come la comune lattuga, dove le piante vengono fatte crescere su substrati di argilla compressa, lana di vetro o altri inerti, l’illuminazione a luce LED assicura il ciclo della fotosintesi, mentre le vasche vengono riempite e svuotate di acqua ciclicamente.
Dopo alcuni esempi di coltura idroponica visti in EXPO, fra cui la proposta di ENEA, ora in Alaska e in diversi altri paesi del mondo si stanno diffondendo applicazioni con questa tecnologia, per far crescere vegetali in luoghi chiusi, senza l’utilizzo di terra e con il supporto della luce LED.
In Alaska il 95% della frutta e della verdura deve essere importata da altri Stati americani o dal Messico, con il risultato di prezzi alti e bassa qualità.
Ed ecco per quale motivo forse proprio in Alaska sta prendendo piede la coltura idroponica, ma non si tratta della sola realtà, in quanto questo genere di serre idroponiche – come anche le “vertical farms”, ovvero la versione di questo tipo di coltivazione realizzata però in container, dove sono i computer a dosare acqua e nutrienti, a tenere costante la temperatura e a dimmerare l’illuminazione LED, anche attraverso smartphone – cominciano ad attrarre l’investimento anche da fondi privati, e non soltanto negli USA.

A Londra ad esempio Growing Underground ha trasformato un rifugio sotterraneo antiaereo in una vertical farm, mentre in Svezia, a Linkoping, sta nascendo Plantagon, un grattacielo di 54 metri ad uso agricolo. Anche in Italia si sta muovendo qualcosa di questo tipo: in questa fase le colture idroponiche possono rappresentare una ulteriore risorsa, specie per quei Paesi che presentano condizioni climatiche difficili, come i Paesi del Nord Europa, la Russia o i ricchi Paesi del Golfo. Un’opportunità per le imprese, anche italiane, che vogliono oggi investire in innovazione.