
L’identità di immagine di una città è un tema affascinante e complesso, da lungo tempo oggetto di studio, ricerche e dibattiti che ne hanno analizzato diversi aspetti e peculiarità, sia in ambito diurno che serale e notturno. L’articolazione di forme e volumi, l’assortimento e la diversa natura delle superfici, il contrasto fra vuoti e pieni, la tipologia dei materiali ed i loro specifici colore e texture, definiscono e qualificano infatti in modo categorico l’identità di uno spazio, di un luogo, di un contesto
Luce e colore sono fattori qualificativi imprescindibili della scena urbana, e in questo senso va letto il lavoro sviluppato dai progettisti della luce attorno ai Piani del Colore ed ai Piani della Luce, oggetti di analisi e confronto e spesso strumenti proposti e adottati in molte realtà del nostro Paese, nel tentativo di definire regole, procedure e norme al fine di preservare l’estetica e l’identità di un contesto specifico. Luce e colore come segno di identificazione e strumento di comunicazione, che si interfaccia con l’immagine del paesaggio e nel rapporto sul territorio fra spazio e comunità.
Oggi, queste valenze si mantengono inalterate nella loro prepotente ineluttabilità e sono oggetto di un inevitabile rinnovamento espressivo e concettuale, a seguito delle radicali trasformazioni ed acquisizioni tecnologiche che hanno contrassegnato gli ultimi anni, lasciando inalterato il seducente fascino della luce e potenziandone ancor più l’interfaccia ed il magnetismo attrattivo.
La miniaturizzazione delle sorgenti, la facilità di controllo ottico, il semplice ed immediato interfaccia con i sistemi di gestione e controllo, sono solo alcuni degli elementi che ci consentono oggi, sempre più, di caratterizzare luce e colore come veri e propri materiali dell’architettura, ed essa integrati e da essa inglobati.
La forma, il volume o la facciata di un intero edificio perde la sua ieratica iconicità e si trasforma con semplicità e disinvoltura in un enorme schermo o fondale che, a seconda del tipo di applicazione studiata, caratterizza la scena notturna dello spazio urbano attraverso l’aiuto di display, video-LED, proiettori…
L’aspetto della città cambia fisionomia e partecipa in modo giocoso ed accattivante a messaggi di tendenza, con un’immagine alternativa alla percezione diurna, offrendo agli abitanti una nuova modalità di confronto ed interazione con le forme ed il contesto.
I nuovi linguaggi della luce: landmark…
Luce e colore si identificano sempre più come un nuovo linguaggio, un’immagine in grado di imprimersi nella memoria collettiva e proporsi come simbolo comunicativo, come landmark che non caratterizza solo scenari isolati o contesti periferici ma si impone nel pieno centro delle città con una nuova forza espressiva.
Già nel 2005 gli architetti svizzeri Herzog &De Meuron proponevano – attraverso la costruzione dello stadio ‘Allianz Arena’ a Monaco di Baviera – una nuova concezione di edificio come “involucro-oggetto”, un “performing object” funzionale alla comunicazione ed al marketing nella sua forma arbitraria, attraverso l’uso di luci di diverso colore (rosso, bianco e blu) contenute all’interno di grandi “cuscini” traslucidi in facciata, per rendere immediatamente identificabile la squadra impegnata in campo.
Se questa struttura era però ancora situata in un’area isolata, ai margini della città e in prossimità dell’anello autostradale, come una gigantesca installazione a scala territoriale avulsa dal contesto meramente urbano, oggi nel River Light Show a Jianyang City, per la nuova area commerciale nello Sichuan, in Cina, un’installazione realizzata con media tube a tecnologia RGBW (con gestione DMX a 16 bit) ricopre le facciate degli edifici adiacenti al fiume per una superficie di ben 7600 m², creando un effetto nuovo ed attrattivo nel panorama notturno urbano e giocando anche sull’effetto di riflessione dell’acqua, che amplifica e potenzia la dinamicità, il cromatismo e l’atmosfera onirica del contesto, annullando la staticità ed il rigorismo delle superfici architettoniche e offrendo una nuova identità notturna, dotata di grande personalità.

Questo tipo di approccio è oggi sempre più consueto e svincolato da limiti legati all’ubicazione ed al contesto, superando ogni barriera oggettiva e concettuale. Gli stessi volumi della città si prestano con generosità ed accoglienza all’interfaccia diretta ed interattiva con la vita sociale urbana. Le facciate sono utilizzate come schermi, e gli stessi edifici sono già concepiti in fase progettuale come landmark, elementi dialogici interattivi con il tessuto urbano.
È questo il caso del complesso di edifici ad uso misto (uffici e spazi commerciali) Mondeal Square ad Ahmadabad, India progettato da Blocher Blocher India Pvt nel 2014. L’ampio complesso (circa 17.000 m²) viene definito in modo inequivocabile dalle notevoli facciate, caratterizzate da una incredibile scenografia di luce totalmente integrata alla struttura di forma ellittica.


Di giorno, l’involucro esterno riflette la luce diurna creando una correlazione con l’ambiente circostante, mentre nelle ore serali e notturne elementi lineari luminosi “graffiano” la superficie con una grafica potente ed essenziale, giocando su effetti monocromatici con variazione delle intensità luminose o con cromatismi e scenografie attentamente studiate e programmate, che evidenziano la multifunzionalità dell’edificio.
Un approccio progettuale analogo viene adottato per lo Huangshi Stadium a Wuhan, in Cina, dove l’intero edificio viene totalmente scandito da un sistema di profilati lineari con elementi luminosi emittenti di forma circolare – una sorta di mega-pixel, applicati con diverso passo – montati in aderenza alla struttura in acciaio, che sintetizzano l’involucro della griglia e l’inclinazione dei diversi piani, e che si congiungono fra loro in una volumetria sfaccettata.




L’uso del colore e l’applicazione di una programmazione modulata sottolineano l’articolazione volumetrica e le potenzialità comunicative dell’edificio, che trova attraverso la luce una identità alternativa.
..e Digital signage
L’attitudine di utilizzare un segnale digitale per creare un’immagine nuova ed alternativa nell’interazione fra luce e forma, luce e spazi, luce e funzione, non si limita esclusivamente ad applicazioni in esterno ma riguarda anche le applicazioni indoor.
In questo caso parliamo di digital signage comunicativo, come accade per la bellissima realizzazione studiata per la grande scala “Daikaidan” della stazione di Kyoto, in Giappone.

Questa scala, composta da 171 gradini e le cui alzate sono ricoperte da 15.000 LED (in elementi di 125 mm con 14.500 pixel, applicati su barre customizzate), si trasforma in un enorme schermo interattivo, sul quale si realizzano spettacoli di luce e vere e proprie animazioni, legate alle stagioni o a particolari eventi o messaggi.

Una gigantesca opera d’arte digitale, perfettamente in stile con il futuristico complesso architettonico concepito dall’architetto Hiroshi Hara, che non comprende solo una stazione ferroviaria ma anche un centro commerciale, strutture ricreative, piazze, percorsi pedonali, giardini.
Quando non è utilizzata come schermo, la scala, oltre ad essere un elemento di collegamento verticale, funziona da seduta – come negli anfiteatri di ascendenza classica – per performances di musica, danza o recitazione allestiti nel grande stage posizionato al termine della rampa.
Questo nuovo linguaggio espressivo, che unisce forme, volumi, paesaggio e urbanistica attraverso luce, colore e tecnologia, è una prassi ormai usuale nelle grandi città dell’Asia e del mondo arabo, in contesti caratterizzati da una profonda attività di crescita, di rinnovamento, e inizia ad affermarsi anche in molte nuove realizzazioni europee, sebbene questo approccio innovativo e futuristico non sempre si può innestare in contesti caratterizzati da una profonda connotazione storica, la cui immagine è indissolubilmente legata ad un’espressività più sobria, dove il lessico architettonico si esprime attraverso elementi compositivi e materiali già profondamente connotati e caratterizzanti.
Le applicazioni multimediali sono principalmente utilizzate per le nuove opere – più frequentemente realizzate in contesti decentrati – o – se in aree più centrali o persino su monumenti o facciate storiche – soprattutto in occasione di eventi temporanei, meno soggetti a vincoli concreti nell’applicazione di elementi innovativi.
Così, la “tintura“ rossa del Colosseo a Roma in occasione della giornata di sensibilizzazione alla ricerca sulla leucemia durante le festività natalizie 2019 o il suo utilizzo come magnifico schermo per le poetiche e stupefacenti proiezioni di luce studiate da Motoko Ishii e sua figlia Lisa Akari-Ishii nel 2016, in occasione dei 150 anni delle relazioni fra Italia e Giappone (e reinterpretate per la stessa finalità sulla Tour Eiffel a Parigi, con nuova scenografia personalizzata), o ancora l’illuminazione simbolica degli edifici più rappresentativi delle nostre città con il tricolore della nostra bandiera in occasione dei tragici eventi causati dalla pandemia legata a Covid-19, sono solo i primi passi verso il mondo del Digital signage e verso la visione dell’architettura come landmark e come nuovo mezzo di comunicazione.
(a cura di Alessandra Reggiani, lighting designer, Roma)