
L’attività dell’Arch. Mario Bellini è così vasta che è difficile riassumerla nelle poche righe che abbiamo a disposizione. Dall’architettura, all’editoria, dal design all’insegnamento ha indagato tutti i campi della cultura del progetto. Lo incontriamo nel suo studio di piazza Arcole, a Milano
Architetto e designer di fama internazionale, vincitore, tra gli altri, di 9 Compassi d’Oro. È stato direttore di Domus. Il MoMA di New York gli ha dedicato una mostra monografica nel 1987. Numerosi gli allestimenti di mostre in Italia e all’estero.
A partire dagli anni ‘80 ha realizzato il quartiere Portello di Fiera Milano, il Centro Esposizioni di Villa Erba, il Tokyo Design Center, Natuzzi America Headquarters negli USA, la Fiera di Essen, la National Gallery of Victoria a Melbourne.
Tra i progetti in avvio si ricorda il Centro culturale di Torino e la ristrutturazione della Pinacoteca di Brera, già avviati il Museo delle Arti Islamiche al Louvre, il restyling del quartier generale della Deutsche Bank, il Verona Forum, il Museo della Città di Bologna, a Genova il complesso del Parco scientifico-tecnologico e il MiCO Milano Convention Center alla Fiera di Milano.

Fra il modo e il fare
Essere architetto e designer significa confrontarsi con tutte le scale del progetto, sia in termini di misura fisica (le dimensioni del progettato), sia in termini di misura storica (la durata e il valore storico che il progetto assume nel tempo). Disegnare un oggetto è certamente molto diverso che disegnare uno spazio. Tuttavia…esiste un metodo?
“La parola metodo non rientra nel mio vocabolario. So che fa comodo nei contesti didattici illudersi che esista un metodo, se così fosse si potrebbe acquisirlo, trasmetterlo e impiegarlo. Io non sono mai riuscito a verificarne l’esistenza, anzi sono convinto che non esista proprio un metodo.
Sarebbe come chiedere a uno scrittore se esiste un metodo per scrivere le poesie o i romanzi, o ad un pittore se esiste un metodo per dipingere i quadri… evidentemente no… è una preoccupazione che c’è sempre stata in particolar modo nel passaggio dal diciannovesimo secolo alle avanguardie.
Si è cominciato dalla stesura dei manifesti, quando si è messo in discussione il passato e si è preteso di codificare le ragioni della modernità… voglio comunque rincuorarvi o (deludervi) la metodologia della progettazione non esiste!”.
Se non possiamo parlare di metodo possiamo parlare di matrice? Un artista è comunque riconoscibile attraverso le sue opere….
“Non si tratta di metodo, è il modo. Per metodo si intende qualcosa di sistematico, descrivibile e trasmissibile… Sarebbe come chiedere a Lucio Fontana se ha usato un metodo per fare i suoi quadri… Quando lui ha deciso di tagliare la tela ha reagito a un sorprendente impulso creativo che ha, anche, tagliato la storia della pittura”.
…Mi può allora descrivere la nascita ed evoluzione dell’atto creativo…
“Il momento magico e tragico del foglio bianco, l’aspetto più bello e quello più difficile della creatività, coincidono. Quando ti trovi a dover cominciare a fare una cosa, sia essa un piccolo oggetto o una grande architettura, sai che intraprendi un viaggio, quasi sempre difficile e faticoso… ma devi credere che alla fine verrà la ricompensa del progetto compiuto. Per quanto mi riguarda iniziare questi viaggi è una straordinaria emozione, sapendo che saranno lunghi e faticosi, e più faticosi sono, più avrai l’opportunità di raggiungere una meta più alta.
Le difficoltà sono come il carburante del viaggio, creano tensione e vigilanza, che ti portano a raggiungere un risultato più profondo, più raffinato, più scavato, più pensato… in sintesi la ricerca del risultato, della creazione compiuta, è la ricerca della bellezza, anche se è una parola che si tende a non utilizzare più…”.
Quindi un progetto è sempre compiuto?
“Praticamente sì, altrimenti significa che ti sei messo in viaggio dimenticando la corda, gli scarponi e la picozza e ti sei perso per strada”.
Progettare con la luce
Nel viaggio ci interessa indagare una tappa particolare, che è quella della luce. Che importanza ha la luce, naturale e artificiale, nel progetto di architettura e di allestimento? Ci sono differenze di approccio?
“La luce è una delle componenti essenziali del progettare, nel senso più ampio, perché è anche una condizione essenziale per percepire la realtà, i volumi, gli spazi, le profondità, i diversi campi… Ad esempio in tutti gli allestimenti che ho disegnato ho sempre lavorato con la luce, senza nessun metodo, nessuna tecnica, nessuna prescrizione, in modo molto istintivo. Ho spesso lavorato usando come sfondo la penombra e usando accenti luminosi di varie intensità… Un percorso che è una lettura dello spazio fatta di sfumature, sguardi, riposi, attenzione più alta o più bassa, che diventa dinamica, come una narrazione…”.
Per esempio?
“In una serie di grandi mostre nei principali musei delle capitali – mostre che avevano come soggetto i Tesori di S. Marco di Venezia – utilizzando vetrine che erano come piccoli templi piramidali… All’apice stava una luce che invadeva la forma piramidale della vetrina, e che illuminava da sopra un oggetto quasi sempre traslucido, che si incendiava con la luce; in aggiunta c’era una luce laterale scorrevole lungo uno degli spigoli della piramide in modo da non generare riflessi… La combinazione della luce verticale più intensa e di quella laterale più leggera davano una evidenza straordinaria a ciascuno di questi oggetti… e questi elementi usati come piccoli templi allineati nello spazio davano la sensazione di navate, la suggestione di veri spazi architettonici…”.
“ Ancora, a Palazzo Grassi in una mostra sull’architettura del Rinascimento italiano. Disegni, quadri, modelli che potevano essere di Leonardo da Vinci, o di Michelangelo, Bramante, il tutto immerso in un “grigio lontananza”, colore che noi abbiamo usato spesso, ne’ chiaro ne’ scuro, grigio con una lieve componente porpora, che consentiva di accentuare luminescenze e profondità, e offriva la possibilità di creare grandi distanze, prospettive, accenti, colpi di scena…

A Palazzo Grassi abbiamo imparato a illuminare i quadri con una ricetta che ci siamo inventati e che funziona sempre molto bene: per il 50% si illumina con un wall-washer sulla parete, e poi si accentua il successivo 50% con una luce sagomata sul quadro stesso.
Se si fa soltanto la prima cosa si ha una parete morta e un museo noioso, se si fa solo la seconda si ha una sequenza di diapositive che sembrano finte, di plastica… soltanto la miscela sapiente di questi due modi da luogo a stanze vivaci e interessanti nel rispetto delle opere d’arte”.
Quando la luce è un giocatore indipendente
Cambiando scala, che differenza c’è tra progettare la luce artificiale e utilizzare la luce naturale?
“La luce naturale è un fattore straordinario, è come una luce artificiale, solo che tu sai da dove viene, che intensità ha, come si modifica nella giornata e come si modifica nell’anno… e quindi devi progettare sapendo che questa gigantesca lampada – il Sole – non è sempre là, e che tu non la puoi alzare o abbassare a tuo piacimento, ma lei si comporta nel tempo e nello spazio in un modo prevedibile, ma variabile a seconda delle condizioni meteorologiche… La luce è un giocatore indipendente dalla nostra volontà.
Giocare con la luce artificiale significa invece avere a che fare con qualcosa che è in tuo potere, questa è la differenza …”. “…A Verona stiamo realizzando un complesso di uffici, alberghi ecc.. che per una parte dei suoi edifici somiglia un po’ al volto di una signora che usa la veletta per giocare con il sole e con la luce.
Davanti a questi edifici abbiamo messo argentee superfici metalliche leggere e stirate, che diventano come una trama e a nostra volta le abbiamo squarciate con degli strappi… Come abbiamo fatto a verificarne l’effetto? Abbiamo creato rendering con il computer, naturalmente dopo aver sperimentato lavorato con le mani e con gli occhi gli effetti dei materiali… La cosa bella è che quando siamo arrivati a metà della costruzione e siamo andati a fare le foto, ci siamo resi conto che le foto erano identiche ai nostri rendering…”
La luce, senza la lampada…
Un’esperienza analoga è quella del Museo delle Arti Islamiche al Louvre. L’architetto Bellini ci racconta il paziente lavoro di sperimentazione fatto sulla copertura. Ogni strato dà il suo contributo al filtraggio della luce, e al riflesso percepito dall’esterno.

I reperti dell’arte islamica sono per loro natura da sempre rimasti esposti alla luce del Sole, dunque il progetto prevede il fondamentale contributo della luce naturale, sapientemente filtrata e dosata…

Un altro importante progetto è il Centro Congressi al Portello (il più grande d’Europa…): la Cometa. È concepita come un assieme di 8mila metri di raggi luminescenti (lunghi fino a 200 metri) che si staccano, ondeggiando, da un nucleo più denso fino a formare una coda.
Ciascun raggio è formato da 4 nastri, affiancati, profilati in alluminio ultrasottile, anodizzato color argento, e microforato ed è sostenuto da leggere strutture reticolari tridimensionali in acciaio, al centro delle quali corrono 8mila metri di luce canalizzata prodotta da sorgenti luminose di LED a basso consumo (solo 1 watt per metro). Un nuovo volto che è una scommessa fatta di luce… Il rapporto che l’arch.Bellini ha con la luce è veramente di una ricchezza straordinaria.
Ci chiediamo in ultimo come sia la sua esperienza nel disegno del prodotto. Che differenza c’è tra progettare la luce in uno spazio e progettare una lampada?
“La stessa differenza che c’è tra andare in bicicletta e disegnare una bicicletta… Forse disegnare una lampada può diventare interessante se conosci quello che si può fare con la luce… Area (NdR: disegnata per Artemide ed ora fuori produzione) è una lampada la cui forma coincide con la forma della luce, una lampada fatta di niente, riflette e filtra come le nubi riflettono e filtrano la luce del sole…
Questo modo di disegnare la luce è una cosa che mi interessa molto. Io credo di aver sempre disegnato lampade disegnando la luce, non considerando la macchina da dare a qualcuno per fare la luce…Nei giardini, in città, negli interni preferisco rapportarmi con fronde, superfici, contrasti evidenziati, generati, (“ridisegnati”) dalla luce piuttosto che con le lampade stesse”.
(Maria Genoni)