
Ho recentemente incontrato, in un dialogo ad Ajaccio sul Mediterraneo insieme all’architetto Amelia Tavella, nell’ambito degli incontri di “500 x 100 talk”, Jérôme Camilly.
Jérome è giornalista, scrittore, viaggiatore e ha scritto tra le altre cose un libro sulla Corsica dal titolo “L’ombra dell’isola”. L’ombra mi ha sempre incuriosito. Credo che nell’ombra e con l’ombra si possa entrare in contatto e in profondità con l’anima di tutto ciò che ci circonda. L’ombra ha tempo, è Tempo. E anche quella breve, o quella lenta rispecchia la natura della luce.
L’architettura senza luce non sarebbe nulla, non sarebbe un sentimento, un’emozione, una volontà, un’affermazione, una scrittura, una lettura, un immaginario, un sogno. Lo spazio è luce. La luce è ombra.
Tutto si definisce attraverso questa materia indefinibile, senza forma, ma che alla forma da significato. Ancor più diventa importante la materia del tempo nel dialogo con la luce e la sua variabilità durante le ore del giorno, della settimana, dei mesi. O nei momenti di passaggio tra il giorno e la notte e tra la notte e il giorno.
La luce è una dichiarazione, una recita ad alta voce o ancora una poesia sussurrata che descrive il carattere di uno spazio, di una concatenazione o una successione di spazi e dell’identità che vogliamo conferirgli, dell’immaginario a cui vogliamo essa appartenga.
La luce non è un complemento tecnico e/o di solo comfort. E’ molto di più. E’ presenza o assenza, è disegno o sfumatura, è matrice o punteggiatura, è linea o superficie, è intima o conviviale, è tecnica o sentimentale, è fredda o calda, è empatica o respingente.


Con la luce gli spazi di dilatano, quasi assumono un profumo. Oppure con la luce possono ridursi, tramare sequenze, pause, intensità differenti. La luce può impressionarci da quanto può essere potente, nella sua dimensione naturale e nella sua dimensione artificiale. Credo che manchi ancora una cultura sapiente della luce che sappia coniugare aspetti tecnici necessari per norme (spesso non aggiornate alle vere esigenze e all’evoluzione delle tecnologie) con la natura degli spazi e con la “volontà” degli spazi di raccontarsi.
La luce meriterebbe evoluzioni e applicazioni sempre “specifiche” allo spazio progettato, in dialettica con esso, quale strumento capace di invertire i rapporti tra giorno e notte, o enfatizzarli, o modularli … insomma di saperli raccontare.
Oggi tutto avviene invece ancora secondo un “catalogo mentale”, troppo tecnico o troppo decorativo, e sviluppato attraverso un’operatività che tiene distanti (o forse già si tengono anche per questo distanti) gli architetti dal progetto della luce.
Credo che la luce debba acquisire una dimensione “sensuale” nelle sue diverse applicazioni, ovvero ibridarsi e contaminarsi così come si contaminano gli spazi, sempre meno incasellati in micro o macrozooning.
Pensare alla luce, pensando all’ombra, vuol dire pensare una luce “sensuale”. Pensare una luce come un corpo tecnico e nulla più, o come un corpo decorativo e nulla più, non ci permette di lavorare ad una nuova dimensione della luce, ma solo di elaborare nuove forme, aleatorie e non necessarie e poter riempire soltanto cataloghi anch’essi ormai virtuali e non fisici.
Si dia inizio e con coraggio ad un nuovo Rinascimento della luce: ciò che oggi si può già fare e quanto si potrà fare in futuro potrebbe cambiare anche l’idea di spazio o della natura degli spazi, potrebbe cambiare il paesaggio urbano, il mondo. In una coscienza nuova il dialogo tra “specialisti” della luce e profani potrà essere continuo e profondo, necessario e a diversi livelli: credo maggiormente in una cultura della luce che non in una specializzazione.
Gli uffici oggi, o meglio il workplace 3.0, potrà ad esempio essere un territorio di sperimentazione e prova di come i due mondi (intimo e collettivo, domestico e lavorativo, …) potranno e dovranno contaminarsi, innestandosi l’uno sull’altro: un tema che attraversa tutti i paesi che stanno necessariamente ripensando lo spazio del lavoro seguendo e riflettendo il modo con cui la società sta cambiando parametri, dinamiche e sistemi di relazioni.
La luce è parte importante e integrante di tutto ciò … e ripensarla con questa “ottica” significa pensarla con la sua ombra, ovvero la sua anima.
Alfonso Femia – Atelier(s) Alfonso Femia