
Dalla dimensione della scena teatrale alle installazioni in ambito urbano: il percorso di uno scenografo e light artist che ha ricercato la sua cifra espressiva attraverso una personale interpretazione in chiave pittorica delle architetture degli spazi

Sebastiano Romano (1953) è uno scenografo, regista teatrale e light designer che ha posto il tema della luce e del suo utilizzo come strumento centrale del suo lavoro, nei contesti di un’attività artistica articolata e sicuramente eclettica sul piano dei linguaggi. Abbiamo parlato con lui dei rapporti fra teatro e scenografia, scenografia urbana e light art.
Da Emanuele Luzzati all’Arena di Verona: scena come figura e architettura
Qual è stato il tuo percorso di formazione nel quale hai focalizzato i temi operativi della tua attuale attività artistica e professionale?
Nel mio percorso formativo è stato di fondamentale importanza l’incontro, nel 1970, con lo scenografo Emanuele Luzzati per l’allestimento degli spettacoli classici nel Teatro Greco di Siracusa. Questo incontro per me, giovane studente della Scuola D’Arte, ha determinato definitivamente quella che sarebbe stata la mia scelta professionale. Gli studi successivi all’Accademia di Brera e gli anni di formazione presso il Teatro alla Scala a Milano mi hanno fornito nuovi strumenti per arricchire altre conoscenze e consolidare questa scelta.
Un altro incontro importante nel mio percorso formativo è stato quello con lo scenografo Luciano Damiani che mi ha dato la possibilità di seguire il suo lavoro alla Scala e al Piccolo Teatro dove ho appreso una nuova configurazione dello spazio scenico.
Fin dagli esordi la tua ricerca sembra essersi sviluppata sull’individuazione di architetture di allestimento che ponessero in rilievo la forza comunicativa dell’integrazione fra scenografia e luce, già a partire dal tuo periodo di collaborazione con Vittorio Rossi all’Arena di Verona…
Il Teatro Greco di Siracusa, sicuramente, è il luogo d’elezione che segna il mio percorso artistico. Nel 1980 inizia, con l’allestimento della tragedia “Le Baccanti” di Euripide, la collaborazione professionale con lo scenografo Vittorio Rossi che continua con molti spettacoli di prosa, lirica e balletto.
Gli allestimenti delle varie produzioni, realizzati in tanti teatri nazionali e internazionali, sono sempre stati connotati da originali architetture sceniche esaltate da un sapiente disegno luci. Uno degli esempi più pregnanti è la realizzazione delle opere “Aida” e “Nabucco” all’Arena di Verona e nel Palais Omnisport di Bercy a Parigi. Ed è proprio questo lavoro sullo spazio scenico che mi permette in quegli anni di acquisire altri strumenti per progettare i miei lavori.
Vorrei citare l’allestimento dello spettacolo “La Città Morta” di Gabriele D’Annunzio realizzata nella Corte del vecchio Tribunale di Ortigia a Siracusa nel 1987. In quel lavoro la scelta del luogo si rivela infatti di notevole importanza e gli elementi scenografici interagiscono perfettamente con l’azione teatrale creando uno spazio ideale dove la luce gioca un ruolo fondamentale.
Scena teatrale, architetture e light design
Ed è ancora negli anni successivi e dal lavoro sugli allestimenti in ambito teatrale e nel contesto del teatro lirico che Romano traduce e arriva a declinare la sua visione della scenografia verso forme di installazione sempre più aperte all’utilizzo delle architetture come scene “pittoriche” dinamiche.
La tua attività nell’ambito del teatro di prosa vede numerosi allestimenti nel corso degli anni, alternando lavori teatrali con allestimenti per il balletto. Sul piano del progetto di light design quale dei tuoi lavori dello scorso decennio vorresti segnalarci e per quali ragioni tecniche e espressive?
Tra i vari spettacoli che ho realizzato nel corso della mia lunga carriera vorrei citarne alcuni che dimostrano gli effetti a mio vedere del rapporto tra spazio e luce: “Misery non deve morire”, uno spettacolo di prosa tratto dal romanzo di Stephen King realizzato nel 1995 e “La Terra degli Ulivi Parlanti”, di Chiara Giordano, uno spettacolo di parole, musica e danza realizzato nel 2015 nel Parco Archeologico di Scolacium a Catanzaro.


Nel primo dei due la luce disegna la scena a prospettiva centrale creando un inquietante tunnel onirico. I proiettori collocati in americana generano un gioco di rifrazioni determinato dal materiale che riveste le superfici degli archi scenici.
Nel secondo invece cinque proiettori motorizzati con gobos dipingono le antiche pietre del Teatro Romano dalle quali emergono i danzatori come fossero corpi fatti della stessa materia.
Altri due momenti nel tuo lavoro mi sembrano interessanti, perché ti hanno messo in grado di coniugare il lavoro di scenografo e light designer a quello del regista. Parliamo di teatro d’opera e il riferimento è alla direzione artistica assunta nell’ambito del Festival “Umberto Giordano” a Baveno e nel contesto dell’”Orta Opera Festival”..
Alla fine degli anni Novanta ho iniziato una nuova esperienza a Baveno sul Lago Maggiore nell’ambito del “Festival Umberto Giordano”. Nel giardino della villa che fu residenza estiva del compositore foggiano è stato allestito uno spazio scenico coperto da una tensostruttura per rappresentare gli spettacoli.
Al mio lavoro di scenografo si viene ad aggiungere in quell’occasione anche quello di regista di alcune opere. Tra le varie produzioni proposte, la “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni messa in scena nel 2003, è l’opera più rappresentativa realizzata, una sorta di tableau vivant dove i personaggi interagiscono con lo spazio suggerito da pochi elementi scenici fortemente connotati da un incisivo disegno luce.

Qualche anno dopo un’esperienza simile si è ripetuta nell’ambito di “Orta Opera Festival”. Nei luoghi più attrattivi di Orta San Giulio ho infatti realizzato vari allestimenti tra cui “Le Nozze di Figaro” di W.A.Mozart, opera rappresentata in versione da ‘camera’, nelle stanze e nel giardino di Villa Tallone nel cuore dell’isola San Giulio. Ha preso forma in quell’occasione un fascinoso spettacolo a lume di candela molto amato dagli spettatori.
Scenografie di luce come installazioni
Sempre a Baveno prende poi spazio l’evoluzione del tuo approccio agli allestimenti scenografici verso le forme di allestimenti di luce. Vuoi parlarci di come è nata l’idea di questo tuo nuovo approccio allo spazio scenografico? Quali tecniche e strumentazioni hai iniziato ad adottare in quegli anni in questo ambito?
Dopo otto anni il “Festival Umberto Giordano” chiude il suo primo ciclo e rinasce nel 2006 con una nuova veste che mira soprattutto al coinvolgimento del territorio. Da qui nasce la mia idea di trasformare i luoghi della città in spazi teatrali, così il Sagrato della Chiesa SS. Gervaso e Protaso, lo specchio d’acqua del Lago e le Cave di Granito diventano palcoscenici ideali dove si materializzano scenografie di luce per concerti ed eventi teatrali.
Nel concerto “The Interpretation of Dreams” messo in scena nel 2012 all’interno dello Stabilimento minerario delle Cave di Granito gli strumenti tecnici utilizzati sono i sagomatori e i proiettori per lampade Par che trasformano le macchine della lavorazione delle pietre in scenografie, mentre per mezzo del video proiettore si genera la narrazione visiva sul fondale dello spazio scenico.

Gli stessi strumenti vengono poi utilizzati per la realizzazione del concerto nel Sagrato della Chiesa “Suoni e Visioni fra le antiche pietre” nel 2014. In questo grande ‘palcosceco’ lo spettatore partecipa allo spettacolo in una nuova dimensione.

Negli ultimi anni i tuoi lavori mostrano un equilibrio armonico fra il codice del light design della scena teatrale e quello del light design per l’installazione urbana. Penso all’allestimento per la ‘Carmen’ del 2017 e nello stesso anno all’installazione ‘Lumina Minervae” in occasione di Luci d’ Artista a Salerno. O ancora a “Trame di luce” con l’illuminazione scenografica urbana dell’Acquedotto Alessandrino a Roma, per la quarta edizione dell’RGB Light Experience..
Nell’ultimo decennio il mio lavoro è stato caratterizzato ancora di più dalla realizzazione di scenografie luminose che diventano anche singolari effetti scenici, come nell’opera “Carmen” di Georges Bizet del 2017. Il monumentale fondale di pietra nel Parco di Scolacium diventa l’ideale schermo su cui proiettare gli elementi scenografici che interagiscono con gli effetti pittorici della luce.
L’installazione “Lumina Minervae”, realizzata a Salerno nel 2017 per ‘Luci d’Artista’, è in questa direzione un altro esempio di un nuovo modo di trasformare i luoghi in ‘spazi teatrali’. La luce che inonda il ‘Giardino della Minerva’ traccia il percorso dei visitatori accompagnato da una fascinosa atmosfera musicale. Anche in questo caso sono stati utilizzati proiettori motorizzati e apparecchi con lampade Par con cambi luce che permettono una sequenza luminosa pittorica di grande effetto.

Infine l’installazione “Trame di luce” realizzata a Roma nel 2019 ha previsto l’utilizzo dei proiettori motorizzati con gobos che – con i loro disegni – trasformano la morfologia dell’antico Acquedotto romano in un fondale scenografico pronto ad un possibile evento.

Alcune considerazioni tecniche/Una dimensione urbana per il teatro post-Covid 19
Parliamo ora del tuo approccio tecnico e degli strumenti di luce che preferisci utilizzare. Come valuti l’attuale livello raggiunto dai LED? Ci sono nuove soluzioni tecnologiche alle quali stai guardando e che vorresti utilizzare nel tuo lavoro?
La mia attenzione è rivolta prevalentemente a materiali di uso teatrale e la mia costante ricerca è attratta dalla dimensione pittorica della luce. La nuova generazione di proiettori a LED certamente presenta notevoli vantaggi, soprattutto dal punto di vista energetico, anche se la qualità della luce ha meno impatto emozionale.
Preferisco quindi utilizzare proiettori motorizzati con lampade a scarica perché danno una luce più vivida e intensa. Nella mia costante ricerca vorrei trovare dei nuovi strumenti che mi permettano di ottenere delle ‘iridescenze luminose’.
La situazione di fermo e di crisi connessa a Covid-19 che sta attraversando in questa fase il mondo dello spettacolo e dell’entertainment – oltre a costituire un grave problema economico per tutte le professionalità coinvolte – ci metterà forse di fronte anche ad una riflessione e ad una “ri-progettazione” dei modi di fruire gli spettacoli e della nostra interazione con gli spazi classici del teatro. Qual è il tuo pensiero al proposito?
Lo spettacolo dal vivo ha come condizione fondamentale la partecipazione del pubblico quindi non credo molto a soluzioni in cui non ci sia questa possibilità ed è il grosso problema dei teatri chiusi.
Le installazioni urbane, sulle quali ho maturato una notevole esperienza, realizzate in grandi luoghi come Arene all’aperto, Parchi archeologici e Giardini di ville storiche possono diventare nuovi spazi teatrali alternativi in questo particolare e difficile momento storico.
(a cura di Massimo Maria Villa)