
Questa estate in Italia sono andati in scena spettacoli nell’ambito dei maggiori Festival storici, come Spoleto, Valle d’Itria o Puccini, seppure con riduzioni dei programmi.
L’Opera di Roma ha messo in scena un apprezzato “Rigoletto” allestendo un palcoscenico e una platea ad hoc nell’enorme spazio di Piazza di Siena. Sfidando le paure e le difficoltà dell’immediato post lockdown, il primo spettacolo in forma scenica è stato “Gianni Schicchi”, durante il Festival Puccini, che la regista Valentina Carrasco ha ambientato ai giorni nostri, in epoca Covid, con cantanti con guanti e mascherine, in azione in un ambiente ospedaliero, sfruttando la storia del libretto che narra della morte del ricco Buoso e dando così una concreta risposta creativa ai limiti delle nuove regole.
Si tratta però di spettacoli all’aperto, dove le normative sono meno stringenti rispetto al chiuso. La pandemia Covid-19 ha velocemente condotto i teatri di tutto il mondo in una condizione drammatica.
I maggiori Enti Lirici e di danza come la Royal Opera House di Londra, l’Opèra de Paris e il Metropolitan di New York sono attualmente chiusi e le rispettive programmazioni azzerate. La ripresa delle attività operistiche è annunciata tra dicembre ’20 e marzo ’21.
Nel frattempo il web e lo streaming sono diventati gli strumenti per la diffusione degli spettacoli. Ma quali spettacoli? Quelli già andati in scena naturalmente.
Le reti televisive, come Rai5 in Italia, replicano da alcuni mesi un vasto programma di opere e balletti registrati negli ultimi anni. Il Teatro alla Scala, così come gli altri Enti Lirici italiani, ha dovuto ridurre la propria programmazione all’esecuzione di concerti sinfonici o di canto e ad opere in “forma di concerto”.
Inizialmente il problema maggiore sembrava essere la sicurezza del pubblico: i decreti governativi vigenti stabiliscono la capienza ridotta in base alla dimensione degli spazi e al distanziamento tra gli spettatori, superando il primo limite indifferenziato di 200 presenze.
Il Teatro alla Scala può così ospitare oggi circa 600 spettatori su una capienza di 2000. Tuttavia il problema, pur riducendo di oltre il 70% le potenzialità del botteghino, visto dalla parte della produzione si trasferisce sulla sicurezza delle masse artistiche: cantanti, ballerini, coro e orchestra.
È infatti ancora impossibile garantire il distanziamento in buca d’orchestra, per il coro, nella dinamica registica di una messa in scena ed ancora di più per la danza, dove il contatto fisico è parte fondamentale della propria espressione artistica.
In un contesto così drammaticamente “democratico” sembra forzatamente mancare la possibilità espressiva di registi e team creativi, ovvero la possibilità di interpretare le vicende operistiche, di proporre una visione personale e attuale.
Una sorta di fermo immagine che potrebbe però essere occasione per alimentare nuove idee: storicamente infatti una condizione di difficoltà e povertà di mezzi si è sempre rivelata essere una nuova propulsione per nuovi linguaggi, nella storia, nell’arte e nel teatro.
I professionisti che interpretano la luce con le sue infinite potenzialità espressive, possono cogliere questa sfida che può diventare ricerca di nuovi canoni, ribaltamento dei limiti: qualcosa che possa rimanere domani, ma che va fatto oggi.