Outsider design

Il lighting design fatto in casa

 

Dirk Vander Kooij, “Fresnel Light” (2014), corpo in polimero rigenerato con stampa 3D in bassa risoluzione (courtesy photo: oode online gallery)

Uno spazio che propone una serie di casi esemplari della relazione fra luce e design, declinati ogni volta da una parola guida.

Parole Guida: OUTSIDER DESIGN

Alcuni anni fa Massimo Banzi, co-fondatore di Arduino e animatore del primo Fablab italiano, raccontava in una conferenza di aver incontrato, alla ‘Maker Faire’ di San Mateo, nel centro della Silicon Valley, Gordon French, l’organizzatore degli Homebrew Computer Club californiani. French riscontrava molte analogie tra il fenomeno dei makers e quello a cui lui diede vita negli anni Settanta. Homebrew è, letteralmente, la birra fatta in casa e l’Homebrew Computer Club fu un open forum , luogo di ritrovo e discussione per appassionati amatori di personal computer autoprodotti, da cui prese l’avvio – nella California della seconda metà degli anni Settanta – il fenomeno del personal computer come oggetto e come filosofia. Vi parteciparono, com’è noto, anche Steve Wozniak e Steve Jobs.

La filosofia era quella dell’uso consapevole della tecnologia per uscire dal dominio della cultura “ufficiale”, rendendo la conoscenza e gli strumenti di formazione accessibili a tutti. Per quanto la motivazione sottaciuta fossero i videogiochi, il PC nasceva, nella volontà degli hacker-hippy californiani, come strumento di controcultura e autoeducazione.

Ovviamente si trattava di hobbisti outsider molto dotati che, in quanto tecnici o ingegneri elettronici, avevano il vantaggio di essere perfettamente in grado di auto-costruirsi strumenti funzionanti. Tre erano i motori d’innovazione: la disponibilità sul mercato di microprocessori a basso costo, la condivisione di conoscenze tra adepti in una forma open, cioè non finalizzata alla privativa industriale del brevetto, la passione per il making, il fare per sé stessi fuori dai canali ufficiali di produzione industriale.

La lampada “Scintilla” (design: Livio e Piero Castiglioni), esempio di prodotto homebrew, qui nella versione ingegnerizzata negli anni ’80 da FontanaArte (courtesy photo: FontanaArte)

Negli stessi anni, in Italia, un esempio di outsider design legato al prodotto d’illuminazione è l’esperienza della lampada ‘Scintilla’.

Si trattava di autentico prodotto homebrew, progettato e autocostruito da Livio Castiglioni e da suo figlio Piero in un laboratorio di via Presolana a Milano, assemblando scarne armature metalliche, isolatori in vetro Pirex e lampade alogene nude: nato, come oggi si usa dire, outside the market, fuori dal sistema industriale: ‘ Scintilla ’ verrà poi industrializzato negli anni Ottanta da Fontana Arte.

L’analogia letta da Gordon French tra gli anni Settanta e oggi è che anche il fenomeno makers nasce come community di outsider, il cui scopo è la disintermediazione dei processi industriali e dei sistemi distributivi tradizionali.

La cultura dell’autoproduzione e del DIY (Do It Yourself) si arricchisce però di due nuovi strumenti: software di progettazione parametrica e stampanti 3D. E negli ultimi anni questa rivoluzione nei processi produttivi sembra aver abbandonato l’ambito ristretto (per quanto ampiamente partecipato) delle maker faire: chi abbia visitato lo scorso Mecspe, la Fiera dell’innovazione del manifatturiero di Parma, ha chiaro come l’industria inizi a recepire e fare proprie molte delle intuizioni degli outsider designer.

Anche se rimane ancora difficile il passaggio nell’uso di questi strumenti dalla prototipazione rapida alla produzione di serie con tecnologie additive, il making ha il vantaggio della elevata attitudine alla sperimentazione collettiva di processo e alla condivisione in rete dei risultati.

Nell’ambito del Design della luce, il panorama offerto dall’applicazione di design generativo a tecniche additive sembra indicare una sperimentazione elevata sul piano morfologico, anche se non sempre accompagnata da riflessioni innovative sull’uso della luce. Gli esempi più interessanti sono i casi in cui l’outsider designer parte da un’innovazione di processo.

Dirk Vander Kooij è un designer olandese che, procuratosi alcuni anni fa un braccio robotico dismesso, vi ha adattato un estrusore che fonde e fila materiale plastico riciclato. Dotato dello spirito dell’artigiano-inventore, con questo procedimento di filatura a grosso spessore Vander Kooij ha realizzato diversi prodotti d’arredo, tra cui una celebre seduta.

Più recentemente ha adattato tale processo anche alla creazione di apparecchi di illuminazione, di cui la ‘Fresnel light’ e la ‘Satellite lamp’ sono gli esiti più significativi.

(courtesy photo: Dirk Vander Kooij)

In entrambi i casi il processo additivo con polimero trasparente viene applicato alla creazione di lenti Fresnel di grosso spessore il cui effetto di diffrazione è accentuato dal fatto che ciascuna sezione anulare è a sua volta composta da diversi filamenti frutto della stesura del materiale con l’ugello.

Nella ‘Fresnel light’ ogni lente è munita di una sfera metallica centrale che permette di ruotarla orientando il disco in varie direzioni: la lampada a sospensione ad altezza regolabile e a schermo direzionabile, che tenta una, seppur minima, innovazione tipologica.

Il procedimento è homebrew, il forte carattere autoriale supera la necessità di brevetto. I prodotti, però, rimangono oggetti di outsider design: in particolar modo per il prezzo.

(a cura di Dario Scodeller – critico e storico del design, Venezia)

Guarda il video sulla ‘Fresnel Light’