
E’ possibile tentare nuove strade nello stage lighting musicale, al di là degli effetti da stadio? Secondo noi è molto interessante l’operazione realizzata da Grignani con il suo nuovo tour nei teatri, dove il lighting set unisce lo show lighting ai linguaggi dell’arte visiva contemporanea attraverso il forte collante espressivo dei testi delle canzoni. Un cantautore, un artista visivo, un lighting designer: abbiamo incontrato Gianluca Grignani, Marco Lodola e Domenico Ragosta
Quando la musica fa testo
Su quali idee progettuali si fonda il concept di questo nuovo tour?
“L’idea del concept è nata dall’amicizia che c’è fra me e Marco Lodola, perché pur avendo età diverse, a tutti e due piace l’idea del concept-album. In questi due anni molte canzoni sono nate qui nello studio di Marco e lui ha visto nascere il progetto, e quando c’è amicizia nascono le idee.
Quando abbiamo pensato di fare il di video “Sogni infranti” non è servito neanche ragionarci troppo, abbiamo messo la telecamera, io nel mezzo, e le sue sculture hanno funzionato, c’era già l’idea del palco per questo tour. Nel tour, io salgo sul palco e con la sola chitarra acustica e voce intono “Destinazione Paradiso” iniziando a cantare tutta la strofa da solo con i musicisti che piano piano entrano, tutto con le luci spente e con la sala accesa, perché voglio che dal punto di vista simbolico il pubblico sia sopra il palco.
Piano piano durante il concerto si cominceranno ad accendere le sculture di Marco e non solo le sculture creando alla fine un effetto di scatola luminosa che ha un suo disegno e si caratterizza per un movimento ritmico d’insieme… Abbiamo voluto un approccio semplice e diretto, perché se è pur vero che questo è un concerto con una matrice rock, per me come in America il linguaggio del rock è il linguaggio della gente, quello più vicino a qualcosa che si traduce perfettamente con questo tipo di immagine..”

Parlando invece dei rapporti che hai avuto con la luce e con lo stage lighting, quali sono state fino ad oggi le tue esperienze più importanti nei tuoi spettacoli?
“Ho lavorato tante volte con la luce, poi mi è capitato di lavorare con Domenico (NdR: Ragosta, un light designer visionario e un po’ folle…ma con una grande volontà ed un grande entusiasmo, e che mi ha sempre seguito sulle idee..e di solito gli artisti non trovano riscontri da questo punto di vista.
Quello che abbiamo realizzato con questo tour penso che sia il palco più bello che abbia mai avuto, e per questo ho cercato lui, perché è una persona che riesce ad entrare in quello che faccio senza alcuna difficoltà..”
Esiste un filo diretto che lega il Grignani di “Destinazione Paradiso” alla nuova fase di “A volte esagero”? Qual è il percorso che hai voluto evidenziare con questo tuo nuovo tour?
“Credo che la chitarra acustica e la Telecaster siano i due punti focali di questo percorso…A volte prevale la Telecaster, a volte l’acustica, a seconda dei brani, ma fondamentalmente è lo strumento il punto di riferimento. Oggi ho quarantatre anni, sono cresciuto e ovviamente la mia musica cresce e cambia con me, ma ci sono anche vent’anni di esperienza di palco e sulla scrittura…pensa che scrivo meglio adesso di quando avevo vent’anni…”

In effetti, ho notato che c’è un lavoro davvero molto interessante che hai fatto proprio sulla creatività dei testi..Sono brani che vanno ascoltati e riascoltati con attenzione…
“Sì, ho cercato di rompere con le cose precedenti, non solo mie, con questo schema che abbiamo in Italia che ricalca formule ritrite…Sono andato a prendere Fabrizio De Andrè, per certi aspetti, e l’ho trasportato su quello che sono io.. e la gente ha iniziato ad apprezzarlo.
Per me questa è la vera soddisfazione della musica, là dove oggi tende ad essere piatta, io mi sento una linea mossa, e credo che l’artista serva a questo…”
In un pezzo del tuo nuovo album, “Una preghiera moderna”, ragioni sulle conseguenze delle disillusioni sulla realtà attuale…
“‘Preghiera moderna’ è una canzone nata in tempi non sospetti, quando l’Isis non aveva ancora utilizzato Internet come invece purtroppo sta facendo ora per crearsi questo tipo di propaganda… Quando l’ho scritta dicevo “…Maometto Budda e Gesù non mi servono più se non riesco sai a vivere quaggiù..”, e volevo dire che la gente stava cominciando a entrare in una fase dove …l’integrazione sociale diveniva fondamentale e le differenze di religione in questo caso specifico non più erano importanti, perché è la società “sbagliata” alla base…Ho reso questa canzone quasi un film, con dei suoni all’inizio e alla fine perché voglio che la gente si soffermi sul testo”.
In un altro pezzo che mi sembra molto bello “L’uomo di sabbia” c’è un’immagine di forza e insieme di fragilità che coesistono e sembrano quasi fondersi dove dici “…la verità non è più un dolce frutto quando l’onda del mare scioglie tutto..”….
“Sì, l’immagine dell’onda torna sempre, anche sul palco…e certo, la verità non è più un dolce frutto nel senso che quando sei giovane la verità la cerchi, sei convinto che sia quello che vuoi, ma quando la vai a prendere ti rendi conto che non è così dolce e l’amarezza è il Tempo e la disillusione, come l’onda del mare che porta via le sagome che magari hai disegnato.
Questa canzone tende ad essere un po’ anarchica…Anche qui De Andrè mi ha influenzato un po’….Penso che in generale oggi la gente sia anarchica, per sentimento – senza averne gli aspetti ideologici – e tutto mi pare che sia anche giustificato dalla realtà delle cose”
Parlare alle persone
Un altro brano che ho trovato bellissimo è la versione che hai fatto di “Vedrai, vedrai”, che hai caratterizzato centrandola molto sulla tua persona, su una vocalità fortemente intima, molto presente e rotonda…
E’ una canzone che sento molto, che ricalca un po’ le armonie di “Destinazione Paradiso”, dove non usavo la voce nella sua totalità ma solo per le cose che mi venivano più congeniali. “Vedrai, vedrai” ha un testo che – oltre ad essere ancora molto attuale oggi, anche se Tenco l’aveva scritta per motivi diversi – io rivolgo alla gente, come con “Sogni infranti” che è molto simile, mentre lui parlava a se stesso. Questo ribaltamento mi è venuto istintivo…
…Sì, e non hai fatto poco, perché in tanti hanno cantato quella canzone prima di te, ma tutti l’hanno letta in modo introspettivo…tu invece l’hai “estroflessa”, l’hai girata verso la gente.. Dimmi qualcosa su questo atteggiamento, che è una costante nel tuo lavoro, intendo dire quel mettere sempre in costante rapporto la dimensione “outdoor” del guardare fuori con il tuo guardarti dentro, “indoor”… Mi pare tu abbia un desiderio inesauribile di scavare dentro di te senza aver paura di quello che ci puoi trovare….
“Sì, è l’esistenzialismo che c’è in me. Io credo che se l’uomo non fa così non è un essere umano fino in fondo ma si ferma fuori dalla porta e io difendo la natura umana…Amo e adoro gli animali come amo la natura, ma credo proprio che ci sia uno stacco totale fra noi e il resto dell’esistenza ed è questo stacco che vado a sottolineare…Hai notato una cosa vera, ogni tanto…io me le vado a cercare… e da quel punto di vista posso dire che ormai le ho viste tutte!”
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Piccoli universi luminosi
Mi piacerebbe parlare con te di una fase del tuo lavoro di qualche anno fa, una serie di interventi a Milano che hanno avuto a che fare con la dimensione urbana della luce, un’operazione che avevi definito di “cosmesi urbana” e che si collegava a una tua mostra realizzata nel 2007, “Lodolandia”. Penso che sia qualcosa che hai poi portato in qualche modo anche nel tuo lavoro di oggi…
“Io nasco artisticamente negli anni ’80 nel contesto del “Nuovo Futurismo”; in quegli anni non usavo ancora la luce, ma utilizzavo materiali plastici; è stato letteralmente un percorso verso la luce, perché la mia considerazione è che se non ci fosse saremmo tutti topolini ciechi e sperduti…

Ed è stata un’illuminazione in tutti i sensi, la scoperta di un linguaggio che mi ha portato ad allargare i miei orizzonti ..Beh, per quel che riguarda l’aspetto urbano Marinetti meravigliosamente definiva le pubblicità ‘avvisi luminosi’, e questa cosa che mi ha affascinato sempre… Un’altra fonte di ispirazione è stato il fatto di avere visitato Las Vegas che trovo il più bel museo all’aperto del mondo, insieme ad alcune strade di Miami…”
Parliamo di un altro momento importante di questo passato, quando alla Biennale di Venezia nel 2009 le luminarie che avevi realizzato per la città assomigliavano un poco a delle sculture luminose cadute dall’alto che tu avevi messo in mezzo alla strada…
“Sì, nel 2009 ho fatto un omaggio a Fortunato Depero, con un “Balletto plastico” luminoso… ma a me è piaciuto ancor più quanto ho poi realizzato nel 2011, quando Sgarbi mi diede la possibilità di uscire fuori dagli spazi espositivi della Biennale.
Mi interessava il turista giapponese, allora ho chiesto la possibilità di utilizzare la Cà d’Oro, perché è sul Canal Grande e sei costretto a passarci davanti……e il risultato fu che migliaia di persone si fermavano a fotografare la facciata che avevo illuminato…Volevo praticare la comunicazione ad un livello diverso, perché intendevo uscire dal mondo edulcorato e chiuso della galleria d’arte, dove mi annoiavo a morte…”.

Vuoi scrivere per noi una carta d’identità tecnica delle tue “lightbox” oggi? Come le realizzi tecnicamente?
“Tecnicamente vengono dalle insegne pubblicitarie – quelle “vecchie” e tradizionali, perché adesso si usano i pannelli LED – io lavoro ancora sulla scatola in perspex o plexigas, come vedi lì…
Utilizzo neon ma anche LED luminosi a luce fredda di ultima generazione…. In alcuni casi ricorro anche alle stripLED… Adotto due “meccanismi” differenti, oggetti a scatola chiusa oppure dove si vede la trasparenza del materiale, come nel caso del tour di Grignani.
Il disegno è fatto a pura linea come se si disegnasse sospesi nell’aria…Io ho immaginato questi miei lavori un po’ come fossero costellazioni…E se Marinetti voleva ridisegnare la città io voglio ridisegnare l’universo intero…voglio trovare una dimensione di spazio nuova..”
Se oggi dovessi pensare di reintervenire sull’architettura urbana che cosa faresti?
“Guarda non sono specializzato come light designer perché non è il mio mestiere; personalmente lascerei le luminarie tutto l’anno nella città, prima di tutto perché le nostre città fanno paura…le luci sono solo per i ricchi…Perché solo il centro è illuminato mentre le periferie sono al buio? Trovo questo politicamente terribile e sbagliato…Perciò lascerei le luci nelle aree periferiche e lascerei anche le illuminazioni di Natale accese tutto l’anno…Non mi interessano discorsi come quelli legati al risparmio energetico, perché leggo la stessa ipocrisia che c’è attorno al tema delle centrali nucleari: le togliamo e restiamo al buio?…Noi ormai viviamo di tutte queste contraddizioni”
Come Warhol, fra Pavia e Dorno…
Parliamo del tuo lavoro con Gianluca: inquadriamo un attimo chi è Lodola per il mondo della musica rock e pop, e poi raccontaci qual è stato l’evento che ha visto partire la vostra collaborazione…
“Ho sempre cercato le contaminazioni fra i generi, passando dalle scenografie per i film a quelle teatrali e a quelle soprattutto musicali perché la musica resta la mia grande passione…Anch’io suono “male” tutti gli strumenti che ho qui, nella sale prove nel mio studio…

Il primo gruppo con il quale ho collaborato sono stati i Timoria, loro hanno messo insieme questo studio…Suonavo con loro e poi li portavo all’inaugurazione delle mie mostre, dove alzavo il livello del suono per non sentire le domande di certa critica…poi è stata la volta degli 883, di Syria, Liam Gallagher, Rosalino Cellamare, anche lui di Dorno…
Ho lavorato poi in teatro con Giulio Iachetti, che adesso ha un suo spettacolo in tournee che è un omaggio a Gaber, e anche lì ci sono i miei lavori. Il primo incontro con Gianluca è avvenuto dieci anni fa, ed è stato Red Ronnie il punto d’incontro; è stata una folgorazione perché la nostra passione comune per John Lennon – l’idea dell’onda per il palco – era anche riferita a “Watching the Wheels”… e abbiamo cominciato un lavoro di collaborazione e confronto a partire dai testi”.
C’è un altro brano di Gianluca nel disco che si chiama “Rivoluzione Serena” dove lui cita questo decalogo “…Pace, sesso, tenerezza, gioia e luce”, che è un po’ l’apoteosi della vita…il tuo lavoro per il tour trova allo stesso modo una sorta di sintesi…cioè le tue cose sul palco creano allo stesso modo insieme un concept?
“Ho meno componenti in gioco, semplicemente la positività, la luce per me rappresenta quello che noi siamo: c’è un momento in questo buio immenso dell’universo in cui noi siamo accesi e in cui sicuramente saremo conclusi, come un fiammifero.
Non vedo nient’altro, vedo solo che tutto è drammatico, triste, fisicamente sempre più insopportabile, vedo crudeltà, stupidità, grande incompletezza nell’essere stesso, perciò un piccolo fiammifero che si accende. L’immortalità sta nel fatto se oggi sei qui, è l’unico gioco che puoi fare…tutto il resto non conta nulla. Sul palco ci sono alcuni soggetti, ho preso la figura di una ballerina e ho rappresentato alcune parti di quello che Gianluca dice nei suoi testi.
Ho poi rappresentato l’Atlante, che siamo un po’ tutti noi, aggiungendo qua e là qualche altra cosa, ma tutto si lega al lavoro con Domenico, il light designer, perché lui ha realizzato il trait – d’union fra l’esigenza spettacolare-teatrale di Grignani e la mia, questa specie di onda vera, fisica e luminosa, assicurata da questi LED. Il palco è come una specie di lava luminosa, questa è l’idea di fondo”.
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Domenico Ragosta
Dentro ad una scatola di luce

Ho visto che hai lavorato su un disegno molto geometrico e ritmico nella disposizione del set luci, in generale. Come hai scelto di far dialogare le teste mobili con gli apparecchi scelti per il controluce?
“Questo tour è stato progettato a partire da un idea un po’ insolita e diversa rispetto a tutti gli altri fatti negli anni passati con Gianluca…e proprio per questo ho deciso di mettere nel controluce varie macchine di tipologie diverse come ACL, strobo, laser ecc… facendole dialogare con i motorizzati in modo elegante, con criterio e gusto.

Così come la scaletta del tour che ha delle varianti musicali, andando da scene morbide e soft a scene rock live acido “alla Grignani “…e per poter fare tutte queste cose ho pensato ad un disegno luci geometrico anche per una questione di estetica”.

In questo set acquisisce un ruolo decisivo la scenografia luminosa di Marco Lodola sul palco e la sua interazione con la band in scena. Come si relaziona il disegno luci rispetto a questo?
“Quest’anno ho avuto il piacere di collaborare con un grande artista, Marco Lodola, che ha inserito le sue fantastiche sculture con un grande impatto nello show sia dal punto di vista spaziale, sia da quello luminoso…Abbiamo trovato la loro giusta posizione sul palco in modo che Gianluca band e sculture fossero una cosa sola…trasmettendo al pubblico un vero e diverso spettacolo ricco di emozioni e effetti che nello show si vanno progressivamente a creare…e in questo modo le sculture interagiscono sia con l’artista che con la gente”
Dal punto di vista delle scelte cromatiche, hai pensato ad un lavoro con coordinate specifiche e con soluzioni ricorrenti o piuttosto legate alla scelta di colori dominanti a supporto di specifici desiderata del concept del tour?
“I colori in questo tour sono di fondamentale importanza…Ho previsto conversioni fredde sugli ACL per alcuni momenti dello show ..e colori caldi per altri… facendo in modo di evidenziare gli sbalzi musicali con effettistica totalmente diversa anche per sorprendere le reazioni di tutti gli spettatori”.
Hai previsto di utilizzare schermi LedWall e nella configurazione del parco luci hai pensato ad un utilizzo specifico dei piazzati e/o di tagli per evidenziare particolari fasi dello show?
“Nella configurazione del parco luci non sono stati previsti LedWall o altri tipi di schermi, ma ho inserito tubi luminosi LED “flessibili” in due modi:
1) nell’ ultima americana di controluce, dove abbiamo attaccato tanti tubi LED bianchi per creare un vero e proprio muro;
2) a terra, dove passano invece sempre questi tubi LED tra la band, a destra e a sinistra di Gianluca, cadendo morbidi fino sotto il fronte palco. Questa idea studiata insieme a Lodola e Grignani è stata voluta per creare una scatola luminosa per racchiudere poi tutto il set luci”.
Lo spettatore e le sue emozioni come un’onda di luce crescente
Vorrei che mi dicessi quali soluzioni specifiche hai messo a punto per sottolineare l’espressività di Gianluca e il gioco ironico e affettivo delle icone luminose di Lodola…Mi hanno parlato di qualcosa come l’idea di un’onda luminosa. Ce ne vuoi parlare? Come pensi di realizzarla dal punto di vista tecnico?
“Come dicevo prima questo tour è stato studiato con una tipologia luci molto insolita e particolare…come se fosse un viaggio, un lento cammino pieno di emozioni di impatto.. Lo spettacolo infatti inizia con le luci di sala dei teatri accese, come se fossero prove.

Le mie luci qui sono solo dei “piazzati” bianchi e tutto quello di controluce oltre che spento è coperto da un secondo fondale nero apposta per non far notare al pubblico nessun tipo di apparecchio.
Dal secondo pezzo si accendono solo le sculture di Lodola rimanendo così statici per altri 3 pezzi che sono molto soft fino al momento di salire musicalmente..e da li si crea il buio in sala e la salita del secondo fondale dando inizio al vero show…accendendo le luci e gli effetti un po’ alla volta fino ad arrivare alla fine con una vera e propria esplosione di luci e laser…una programmazione che la gente non si aspetta e devo dire che funziona..”
In conclusione, vorrei una tua opinione sullo stage lighting oggi in Italia…
“Il parco luci oggi in Italia sta cambiando piano piano proiettandosi su tante nuove tecnologie..specialmente quella dei LED..fissi e motorizzati..Ritengo però che – nonostante gli innegabili vantaggi di cui le aziende e consumatori hanno preso coscienza in termini di risparmio energetico, manutenzione pesi e ingombri – secondo me difficilmente potranno sostituire una lampada a scarica, una lampada ACL classica o blindare poi di qualsiasi genere”.
(Massimo Maria Villa)