
Una bellissima mostra all’Hangar Bicocca di Milano ha richiamato quest’anno l’attenzione sul valore artistico che l’illuminazione di ambiente può assumere, se usata in maniera felice, offrendo importanti spunti di riflessione anche ai designer e alle imprese del settore.
La mostra ha ricostruito nove “Ambienti Spaziali” e due strutture al neon realizzati da Lucio Fontana nel secondo dopoguerra, nei quali i protagonisti sono essenzialmente la luce diffusa e i giochi che essa realizza, anche al di là delle forme e della collocazione (in alcuni casi a loro volta emozionanti) dei diffusori.
Gli allestimenti di Fontana erano stati realizzati per mostre e musei, ma i luoghi in cui oggi la luce assume un ruolo più significativo sono probabilmente costituiti dai locali di entertainment, dove spesso l’illuminazione ne rappresenta un elemento costitutivo, ed anzi contribuisce in molti casi in modo decisivo a definire architettonicamente lo stesso ambiente.
In questo caso è chiaro che ci possiamo trovare di fronte a vere e proprie opere protette dal diritto d’autore, che tra l’altro per le opere dell’arte figurativa non ne subordina la tutelabilità alla sussistenza di un particolare gradiente artistico, ed anche per quelle architettoniche richiede soltanto che possiedano un valore estetico autonomo dalla loro funzione utilitaria, ossia – come ha chiarito la Corte di Cassazione – richiede che il risultato estetico non sia necessitato dalla soluzione di un problema di carattere tecnico-funzionale.

I confini del diritto d’autore
Naturalmente per la protezione autorale si richiede comunque un gradiente, sia pur minimo, di creatività, che evidentemente non sussiste di fronte alla semplice ripresa delle creazioni altrui. Qui anzi si pone il problema di tracciare il confine tra ciò che rientra nell’ambito di tutela di un’altrui opera, anche sotto forma di elaborazione creativa, e ciò che invece si limita a trarne spunto, ma costituisce comunque una creazione autonoma.
Come è noto, infatti, il diritto d’autore non dà protezione solo contro le opere identiche, ma anche contro quelle che si configurano come varianti o elaborazioni, anche creative (nel qual caso sono a loro volta proteggibili, ma non per questo non devono rispettare i diritti altrui); esso invece consente di prendere semplicemente “ispirazione” dalle opere altrui, per realizzare le proprie.
Il confine è sottile, ma il criterio che consente di distinguere le due opere è quello del valore espressivo dell’opera: è sempre lecito basarsi sulle idee che stanno alla base di una creazione artistica e che per definizione non sono monopolizzabili; quel che non è consentito è invece riprendere, in tutto o in parte, gli elementi espressivi dell’opera. Dunque, potrò riprendere l’idea di un certo tipo di illuminazione diffusa, ma non lo “svolgimento” che questa idea declina in un particolare gioco cromatico.
Naturalmente anche in questi casi l’illuminazione non è fatta solo di espressione e ispirazione, ma anche (e prima di ogni altra cosa) di tecnica. E quando a dare luogo ad un determinato effetto luminoso è una particolare tecnologia, questa può risultare brevettabile come invenzione industriale, se risolve in modo nuovo ed originale un problema tecnico.
In qualche caso può venire in considerazione anche la protezione dei “lavori di ingegneria, o altri lavori analoghi, che costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici”, disciplinati come diritto connesso dall’art. 99 legge sul diritto d’autore, che non dà però luogo ad un’esclusiva a favore del suo ideatore, ma, come recita la norma appena citata, solo al “diritto ad un equo compenso a carico di coloro che realizzano il progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo consenso”.
La stessa norma, inoltre, subordina il sorgere di questo diritto connesso a particolari adempimenti formali, stabilendo al terzo comma che “Per esercitare il diritto al compenso l’autore deve inserire sopra il piano o disegno una dichiarazione di riserva ed eseguire il deposito del piano o disegno presso il Ministero della Cultura Popolare (oggi: Presidenza del Consiglio dei Ministri) secondo le norme stabilite dal regolamento”.
Quando poi la forma degli apparecchi di illuminazione – o dell’insieme di essi – è a sua volta originale, sussiste la possibilità di protezione come disegno o modello registrato (ed in tal caso l’esclusiva dura 5 anni, prorogabili di lustro in lustro fino a un totale di 25 anni) o non registrato (e in tal caso la tutela dura solo tre anni dalla prima divulgazione e riguarda solo i casi di copiatura, ossia presuppone che l’imitatore fosse a conoscenza della forma imitata).
Last but non least, non si può escludere che in determinati casi l’effetto luminoso che caratterizza il locale d’intrattenimento finisca per diventare un suo segno distintivo, una sorta di ‘marchio’ luminoso, per il quale oggi è anche possibile pensare alla registrazione, almeno a livello di Unione Europea, per effetto delle norme introdotte dalla nuova versione del Regolamento sul marchio UE, che hanno abolito il requisito della rappresentabilità grafica.
Restano però sempre escluse dalla protezione come segno distintivo, registrato o di fatto, tutte le realtà che conferiscono “valore sostanziale” al prodotto o al servizio cui si aggiungono: e certamente un’illuminazione di grande effetto può rientrare in questa definizione. Anche sotto questo profilo, dunque, sono necessarie grande attenzione e grande professionalità: sul piano giuridico non meno che sotto quello tecnico ed estetico.
(a cura di Avv. Prof. Cesare Galli, Studio IP Law Galli, Milano)