
Come in un contemporaneo esponente dell’Umanesimo, le opere di Daan Roosegaarde ricercano un’unità d’azione fra la rappresentazione e il suo significato, dando sempre ad un utilizzo accorto delle tecnologie il valore di strumenti rivolti ad allargare il ruolo critico della nostra comprensione. Così con “Dalla Natura la Tecnologia” sembra riproporsi oggi l’antica equivalenza dell’“Ut Pictura Poesis¹”, dove questa volta la luce occupa il ruolo della pittura

L’artista e designer olandese Daan Roosegaarde (1979) è una delle figure più interessanti attive nel panorama internazionale. Il suo lavoro si mette in evidenza per la grande efficacia e il valore espressivo delle sue opere e installazioni, sintesi eloquenti fra Arte e Tecnologia che raccontano in modo nitido e creativo le sue visioni del futuro e gli scenari già oggi percorribili per una progettazione sostenibile.
Roosegaarde ha fondato nel 2007 a Rotterdam lo Studio Roosegaarde e successivamente un secondo studio a Shanghai, in Cina. Abbiamo visto da sempre come il ruolo della luce sia centrale nei lavori di Roosegaarde, e costituisca l’ingrediente fondamentale per raggiungere un’unità di intenti nella comunicazione dell’immagine cercata, sempre all’interno di una ricerca di armonia con la Natura.
Per iniziare, avremmo piacere se ci raccontassi qualcosa a proposito dei tuoi studi e della tua formazione. Quali fra i contenuti della tua ricerca, centrali oggi nella tua attività, erano già presenti in quegli anni?
Bene, inizierei con il dire che, essendo figlio di insegnanti, Scienze e Matematica sono state sempre importanti per me e rappresentano ancora oggi la base della mia formazione, contribuendo a creare il mondo attorno a me. In modo analogo amo il mondo dell’Arte perché è un formidabile indizio per l’Immaginazione.
Ho frequentato Architettura perché volevo costruire e realizzare le cose in modo concreto e allo stesso tempo avevo compreso come lo spazio pubblico che ognuno di noi utilizza e del quale così tante persone si preoccupano era fondamentale. Così, sì, le Scienze, l’Arte…e la Natura.. Quest’ultima sicuramente la più importante di tutte. Ho sempre sentito il desiderio di cercare un punto di inizio per creare una nuova connessione fra questi principi…
E questo è l’obiettivo che anche oggi sto portando avanti con l’attività del mio Studio, e a
questo ho dedicato un team di progettisti, ingegneri, project manager, esperti e consulenti, e tutti insieme progettiamo e sperimentiamo prototipi e soluzioni che ci facciano dire ad esempio… bene, questa lampada potrà lavorare in futuro!!
Credo che soprattutto in un mondo come quello di oggi sia davvero importante realizzare proposte molto concrete perché non possiamo immaginare oggi quale sarà il produttore in un lontano futuro! Il fascino della Natura è sempre stato importante e al centro del mio lavoro: viviamo per la Natura, combattiamo per la Natura e proviamo ad imparare da lei come convivere. Penso quindi alla fine che la nostra sia una ricerca di armonia.
La luce e l’opera d’arte come messaggio partecipato e condiviso
L’interazione e la condivisione sociale e collettiva dei contenuti è il tema di uno dei primi lavori dell’artista, che sviluppa nel 2012 come installazione pubblica permanente per l’area urbana vicina al cinema Natlab a Eindhoven.
Gli obiettivi di condivisione e di una diretta partecipazione delle persone alla ‘costruzione’ dei tuoi lavori sono uno degli aspetti peculiari della tua attività come designer e artista. E in questa direzione c’è una tua opera che mi ha sempre sorpreso per la sua semplicità e efficacia a un tempo, “Crystal”..
Certamente, “Crystal” è un esempio classico in questa direzione. Sono sempre stato molto interessato a realizzare uno spazio di invio personale su schermo nel quale saremmo stati noi i soggetti “illuminati” e non lo schermo del computer, poiché siamo fatti anche di sogni e desideri. Uno spazio dove poter trovare un’illuminazione, un po’ come accade con una casella postale. Così mi interessava vedere cosa sarebbe accaduto quando era la tecnologia a saltare fuori dallo schermo diventando più umana invece di farci sentire delle macchine.
Questo era l’intento di ‘Crystal’. Si tratta di un sistema molto tattile, giocoso e interattivo, come se fosse messo in una scatola per te e con il quale puoi scrivere parole, comporre lettere o messaggi indirizzati ad altre persone che dovrai incontrare in un momento successivo e nel caso cambiarli. Stiamo parlando di un gioco di interazione fra persone basato su un “non schermo”, in uno Spazio Pubblico così che le persone possano fare ciò che vogliono.

Uno spazio di espressione, di scambio, per imparare qualcosa gli uni dagli altri. Tecnicamente “Crystal” – io lo chiamo anche “Il Lego di Marte” – è un gioco fatto di centinaia di cristalli artificiali illuminati con luce LED wireless; ciascuno ha un piccolo avvolgimento di filo di rame con un LED, mentre sul pavimento un campo magnetico serve a ricaricare la loro luce, senza l’uso di soluzioni di ricarica industriali più impattanti.
Quando una persona li tocca questi cristalli si accendono e ognuno di loro è pronto a diventare schermo: in questo modo abbiamo persone più aperte e propositive fra loro, in uno spazio pubblico aperto e con autentiche interazioni.
A proposito di responsabilità sociale dell’artista
L’uso della luce per l’immagine dinamica dell’installazione itinerante “Waterlicht” (2016-2020) esprime in modo esemplare il tema dell’assunzione di responsabilità sociale dell’artista come significato dell’opera: l’artista mette in evidenza il suo ‘claim’ anche per noi. Per “Smart Highway” (2012-2015) viene invece portata avanti un’operazione di sperimentazione diretta ‘sul campo’, e il tema si traduce in questo caso in un modello progettuale e di design industriale.
La responsabilità sociale dell’artista è un’altra tematica forte presente nel tuo lavoro. Sviluppata attraverso opere differenti le une dalle altre in termini di contesti di realizzazione ma sempre caratterizzate da un’idea comune di approccio sostenibile al progetto. Penso ad esempio a opere come “Waterlicht” o “Smart Highway”. Puoi raccontarci qualcosa su questi progetti e quali motivazioni hanno guidato le tue scelte tecnologiche relativamente alla luce?
Per me la luce è un’azione di supporto, un sostegno necessario alla comunicazione, un modo per fare uscire allo scoperto se stessi con gli altri che ti circondano, con il paesaggio, con la terra, e questo ci dice che è un ottimo strumento…perché dal nulla diventa tutto. Ad esempio, in “Waterlicht” la luce ci mostra l’impatto dei cambiamenti climatici scostandosi dai numeri e dall’idea di incutere timore, ponendosi invece a monito visualizzando dove andremo a finire.

È un modo molto potente per attivare, per incuriosire sul futuro, senza paure, tradotto in uno spettacolo fatto di luce LED e con un insieme di specchi che formano fasci luminosi sempre differenti e fluttuanti come onde.
Se invece parliamo di “Smart Highway” penso che tu convenga con me che è sempre un po’ folle parlare attualmente di mobilità o autoveicoli, poiché le autostrade, i passaggi pedonali e le piste ciclabili sono state tematiche fino ad oggi del tutto scollegate da un pensiero progettuale creativo. Non ho mai visto un progettista parlare di loro quando leggo riviste di design.

In ‘Smart Highway’ abbiamo utilizzato un’interfaccia in grado di utilizzare un basso livello di energia generata, capace di definire nuove esperienze per l’utente e condizioni di esercizio innovative e abbiamo progettato un’autostrada “intelligente” pensata in collaborazione con una società di infrastrutture (Heijmans Infrastructure).
In questo modo ripristiniamo la funzionalità sostenibile dell’autostrada, possiamo caricare le auto elettriche durante la guida e realizziamo strade che ricaricano energia (NdR: grazie alla presenza di sensori e di un rivestimento smart della pavimentazione stradale, oltre all’utilizzo di una pittura fotoluminescente che assorbe energia solare, restituendola di notte in forma di linee di segnaletica luminosa).
Questa per noi è una strada con un’interfaccia di espressione, cultura, tecnologia, e mentre ne parliamo è un modello ancora in crescita e trova sempre più applicazioni.
L’opera d’arte e la cultura digitale
Quale debba essere oggi l’identità e l’immagine dell’opera d’arte, trasposto nel contesto di una realtà digitale, sembra essere invece il tema che Roosegaarde sviluppa in un altro suo lavoro del 2016, “Windlicht”, un tema che riguarda anche le nuove funzioni dell’opera d’arte digitale e il ruolo dell’artista in relazione allo spazio del museo.
La cultura digitale e le sue possibilità aperte di diffusione e condivisione delle esperienze ti hanno condotto ad una sempre più stretta collaborazione con le istituzioni pubbliche e con la committenza privata nello sviluppo di opere dedicate a larghi spazi aperti naturali, come nel caso di “Windlicht”…
Io penso che quando un lavoro si muove su un intuito, la sua visione mentale interagisca con la Natura e in questo senso quando ho costruito i mulini pilota per “Windlicht” attraverso l’immagine della fotocamera ho raccontato a me stesso il desiderio di crearmi un compito da portare a termine.
Con questa esperienza ho conosciuto – con materiali più piccoli come i LED, cablati in un certo modo – il significato della tradizionale forza dolce della Natura che come in un lavoro perfetto di cucito permette la connessione con la luce LED fra le lame di questi mulini. È vero, qui si utilizza molta tecnologia, ma è fine a se stessa.
L’opera per me è una dichiarazione artistica e dei risultati dell’esperienza che attraverso di lei ottieni con le persone. Quindi ti trovi inserito in una realtà incredibile in termini economici, in un campo più ampio di energia dove la tecnologia diventa visibile, e tu te ne stai lì, la senti e basta….C’è qualcosa in quest’opera che rimanda all’immagine di un albero tecnologico di potenza, e a come la tecnologia può averlo realizzato. E qui la cosa veramente importante per me è quella di avere dominato quel tempo, averne avuto il controllo.

Qualcosa di simile credo sia accaduto ad un maestro della pittura olandese del ‘700 di fronte ai 19 mulini a vento di Kinderdijk: un artista caratterizzato dalla capacità di condurre la sua rappresentazione verso la sintesi dell’astrazione…In questo caso abbiamo trascorso la maggior parte del tempo restando in piedi sul posto in lunghe notti fredde e piovose, testando e mettendo a punto i controlli di tracciamento del movimento…e mettendo in atto anche una serie di trucchi manuali!
Per “Windlicht” – che vuole celebrare la bellezza dei mulini a vento che mostrano la danza di queste pale eoliche che si muovono a 280 Km/h piene di potenza a 200 m di altezza – ci siamo messi davanti a loro e li abbiamo posti in una nuova splendente prospettiva caratterizzata da un nuovo accento di luce.
Nella continua evoluzione della realtà di un mondo digitale, oggi il museo come spazio fisico dove incontrare e confrontarsi con i risultati creativi delle esperienze artistiche diventa un nuovo spazio fisico/virtuale di transito dove le esperienze e i lavori sono prodotti e fruiti anche in una prospettiva di coworking e di collaborazione. Mi riferisco alle proposte del MAAT Digital Culture Center a Milano. Come consideri questo genere di esperienze e quali saranno secondo te i futuri scenari per queste attività?
Penso che questa sia una buona domanda perché oggi la maggior parte dei musei sono “congelati” come dentro una bottiglia di vetro, con una situazione inaccettabile, dove ci imbattiamo in un’infinità di segnalazioni del tipo “per favore non toccare”, così che la loro funzione quasi esclusiva è quella di conservare, mostrare le opere e…talvolta mettersi in mostra, ma non di eccellere veramente. Non si tratta cioè di veri luoghi di scambio, e questa condizione penso sia invece oggi la loro migliore opportunità.
Ho visto quanto fa il MEET a Milano con le scelte del suo direttore Maria Grazia Mattei e credo che sia un grande esempio per nuovi spazi interattivi; probabilmente un’opportunità da prendere a modello per far rendere economicamente un museo.
Oggi invece ci ritroviamo in piedi all’infinito fra indicazioni di ‘per favore non toccare’ e non troviamo nulla di più su come ci si può attivare, su come si possa dare la propria testimonianza a proposito del futuro dell’Energia, del concetto futuro di Bellezza, delle tendenze della comunicazione e in merito ai nostri sentimenti… e tutto questo personalmente mi manca.
Progettazione, ricerca e didattica universitaria
Come accade all’iter di progettazione di un’opera, anche il ruolo delle università – sia sul piano della didattica che su quello delle attività di ricerca – non può fare a meno di evolversi e svilupparsi dentro la sintesi finale delle differenti attività e dei talvolta opposti tentativi posti in essere per raggiungere il risultato. E anche in questa direzione l’attività svolta da Roosegaarde ne è una diretta testimonianza.
Vorrei parlare ancora dei tuoi rapporti con i musei e con le università per riferirmi poi ad un altro tuo lavoro, “Rainbow Station”. Che tipo di impatto diretto sul livello del tuo coinvolgimento nella didattica universitaria hanno avuto interventi progettuali come questo?
Ho fondato lo Studio Roosegaarde, perché avevo tante idee e molti mi dicevano che non erano attuabili e io non ero d’accordo…ma noi amiamo lavorare con le università… Sono anche Visiting Professor in Cina, in Messico, dove insegno agli studenti a pensare in modo innovativo e se lo si insegna, lo si può imparare secondo me e anche i miei studenti lo vogliono e in questi contesti abbiamo un team di corso dedicato.
Sì, c’è molta collaborazione, molta ricerca scientifica, ma nel caso dell’insegnamento è necessario andare incontro al desiderio di curiosità circa il futuro, senza timore, e di volerlo costruire, osservarlo, sentirlo come cosa possibile, lì davanti a te, un “luogo” nel quale tu puoi andarci se vuoi farne parte, essendo disposto anche a contraddire la tua idea di luce e aggiornare le tue esperienze.
Questo è il mio atteggiamento quando opero con gli studenti ed è ciò che penso per muovere la mia azione progettuale che si mantiene coerente a se stessa anche quando il lavoro è terminato e diventa condivisibile da tutti.
Il progetto per l’installazione di luce “Rainbow Station” del 2014-2015 è stato ad esempio realizzato in collaborazione con il Dipartimento della Facoltà di Astronomia dell’Università di Leida e con i ricercatori di ottica della North Carolina State University (NdR: e con ImagineOptix Corporation per lo sviluppo dello spettro curvo utilizzato).

L’intento dello Studio Roosegaarde era quello di realizzare un arcobaleno con i suoi colori veri disposti a ventaglio e gli astronomi insieme ai ricercatori di ottica hanno individuato la soluzione adottando una tecnologia a cristalli liquidi in grado di riprodurre il 99% dei colori presenti nella luce naturale e capace di creare uno spettro curvo, adattandosi alla forma dell’atrio della stazione di Amsterdam.
Il progetto è già scritto in Natura, la forza autentica della tecnologia serve solo a rivelarlo
Dall’utilizzo della luce LED con il Li-Fi nella sua qualità di protocollo di comunicazione, verso il quale Roosegaarde ci mostra di essere molto interessato, alle considerazioni sulle risorse del progetto in un’ottica di completa sostenibilità ambientale, le logiche operative dell’artista sembrano ricercare sempre la loro coerenza al modello posto dalla Natura.
Avrei piacere di avere una tua opinione e valutazione a proposito delle tecnologie disponibili oggi e sul loro utilizzo nel tuo lavoro. Quali sono per te, ad esempio, i punti di forza tecnici dei LED e quali i punti di debolezza, e quali prospettive vedi a proposito del futuro degli OLED…
Sono convinto e l’ho già detto anche prima che la tecnologia sia un grande strumento. In questa fase sono ad esempio molto interessato al Li-Fi che codifica attraverso la luce le informazioni per comunicare, come è un’informazione storica guardare le stelle di notte che non sono una decorazione del cielo ma sono particelle di luce in movimento. Mi attira molto comprendere come la luce LED possa essere un codice di tutto questo attraverso l’informazione e l’esperienza.
Per quanto riguarda l’OLED io credo che il concetto di parete flessibile e delle diverse superfici realizzabili con questa tecnologia declinabili in qualsiasi forma sia un potenziale ancora da scoprire. Nel frattempo c’è qualcosa di più divertente da fare perché se sei davvero affascinato dalla tecnologia, qualcosa di più interessante lo puoi trovare in Natura..
Nella Filosofia della Natura. Per esempio in un lavoro come “The Gates of Light” (NdR: è un’installazione permanente del 2017 per l’ingresso autostradale sulla diga di Afsluitdijk che ha interessato 60 paratoie storiche mpnumentali tali realizzate nel 1932 dall’architetto Dirk Roosenburg, nonno dell’architetto Rem Koolhass), la luce riflessa si ottiene con l’installazione sulle architetture di strati retroriflettenti microprismatici, con l’utilizzo dei LED, con connessioni cablate con sensori.

Con le condizioni climatiche difficili di quella zona, dove la pioggia e il vento sono freddi, l’illuminazione si ottiene utilizzando solo la luce emessa dai fari delle auto e riflessa dagli edifici: l’energia necessaria proviene dai proiettori delle auto e il risultato è quello di un paesaggio luminoso naturale. Bene, questo paesaggio celebra la forza del buio così che le persone possano di nuovo vedere il cielo notturno ed è a un tempo un’installazione a ridottissimo impatto tecnologico e ambientale, che funziona per durare a lungo senza manutenzione e valorizzare un manufatto storico.
Dunque, è bello essere circondati dall’Hi Tech ma devo sempre chiedere a me stesso come questo può realmente aiutarmi ad esprimere il mio risultato artistico se sto progettando in modo che i principi di base siano quelli della Natura. Il mio personale interesse per l’ambiente sta nell’utilizzare innanzi tutto questi principi, perché in un progetto come “The Gates of Light” l’idea di sostenibilità si è espressa al massimo grado nella logica del “less is more”.
Un’ultima domanda. Dalle tue esperienze a contatto con gli studenti e con il pubblico hai avuto modo di capire verso quali scenari si sta muovendo la capacità da parte delle persone di comprendere il “valore attivo” di un’operazione artistica di Design come la tua?
Beh, fra i miei studenti nel momento che stiamo attraversando c’è un po’ di depressione perché dicono che il futuro è “bloccato” ma il futuro è enorme, e comunque a ragione o a torto, sono convinto che ci sarà sempre un design per le nuove idee, perché ci sarà una nuova normalità, un nuovo mondo. Cerchiamo quindi di progettarlo, proviamo a immaginarlo, a crearlo, realizziamo prototipi, e un’aria pulita, un’acqua pura, un’energia e uno spazio puliti dove abitare saranno i valori futuri.
Questo è un approccio che supererebbe molto bene la crisi attuale; è importante come avere un buon spazio pubblico, uno spazio verde, uno spazio sicuro, uno spazio di benessere quindi tutto ciò che serve per progettare.
E allora per rispondere alla tua domanda, credo che quegli studenti che sapranno accettare queste sfide e assumersi la responsabilità del loro agire come sfida progettuale, abbiano compreso questo ‘valore attivo’ e che in un ambito universitario questa sia la strada da esplorare come punto di partenza dal quale riprendere insieme a lavorare.
L’opera che è stata da poco terminata da Daan Roosegaarde e dal suo studio si chiama “Grow” e vuole proporsi come un manifesto per una agricoltura sostenibile: su una superficie di circa 20.000 m² fasci proiettati di luce LED blu e rossi si alzano e si abbassano sulle foglie di un grande campo coltivato, evidenziando il ruolo della luce per la crescita delle piante e il positivo effetto dei raggi UV che attivano le difese naturali, abbattendo l’uso dannoso dei pesticidi.
(a cura di Massimo Maria Villa)
¹ Il concetto di ‘Ut Pictura Poesis’ formulato dal poeta romano Quinto Orazio Flacco, “Come nella pittura così nella poesia”, è base della teoria umanistica della pittura, e ha influenzato il dibattito fra critici e artisti nelle arti figurative dal XV al XVIII secolo.
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© Studio Roosegaarde
© Studio Roosegaarde
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