Il “design di gruppo” nell’illuminazione

Come gestire al meglio i diritti IP tra professionisti e imprese e tra professionisti

(courtesy: studio Calvi Brambilla photo: Helenio Barbetta)

Oggi si può dire che nessun progetto, dal più semplice al più complesso, può essere opera di un singolo professionista, se non in casi eccezionali. E ciò vale necessariamente anche per i progetti che riguardano l’illuminazione, sia quando portano alla realizzazione di nuove opere di design o nuove invenzioni brevettabili in questo campo, sia quando la luce si integra con altre dimensioni della creatività

Il lavoro del progettista della luce è molto spesso ‘parte’ di ambiti operativi più vasti, a cominciare dall’architettura, ma senza trascurare altri settori, come le arti performative, dove parimenti la luce può essere una componente importante, o il Food, per il quale l’illuminazione può contribuire ad esaltare la presentazione dei cibi e talvolta persino le loro caratteristiche organolettiche.

Il tema naturalmente non è nuovo – anche se oggi certamente ha assunto un’importanza che non aveva in passato – perché sono sempre esistite opere dovuto al contributo di più autori.

A questo riguardo sia il Codice della Proprietà Industriale, sia la legge sul diritto d’autore comprendono già una disciplina apposita, che però occorre conoscere per attribuire correttamente la titolarità dei diritti e, soprattutto, per assicurarne una gestione coerente ed efficace.

In tema di invenzioni e modelli di utilità

Anzitutto in materia di invenzioni (e di modelli di utilità, la cui disciplina richiama sotto questo aspetto le norme riguardanti le prime), quando più soggetti danno un contributo inventivo al medesimo trovatoi diritti a brevettarlo cadono in comunione: al riguardo la legge prevede l’eguaglianza delle quote, a meno che non si dimostri – e, meglio ancora, che si disciplini contrattualmente – la prevalenza di uno o più contributi, che spesso non è facile da accertare.

Più delicato è il caso in cui l’invenzione sia realizzata all’interno di un’impresa, dai dipendenti della stessa, o da un collaboratore esterno, nell’ambito di un lavoro su commessa.

Nel primo caso si distinguono tre ipotesi, a seconda che il lavoratore avesse mansioni inventive, oppure che non le avesse, ma avesse comunque realizzato l’invenzione nell’ambito delle attività prestate a favore dell’impresa, oppure ancora che la avesse realizzata al di fuori sia delle sue mansioni, sia delle attività lavorative per l’impresa, ad esempio operando fuori orario e su un proprio progetto: nelle prime due ipotesi il diritto a brevettare spetta al datore di lavoro, naturalmente indicando il lavoratore come inventore (e nel secondo riconoscendogli anche un equo premio, per la cui quantificazione, se le parti non si accordano, si segue un metodo nato in Germania, ma ormai abitualmente seguito anche da noi); nella terza, il diritto a brevettare sorge in capo al lavoratore, ma il datore di lavoro – se l’invenzione riguarda il suo campo di attività – ha un’opzione per acquistare il brevetto e le sue estensioni internazionali o per farselo concedere in licenza, esclusiva o non esclusiva, il tutto a un prezzo ridotto, per tener conto degli “aiuti” che il lavoratore abbia ricevuto, grazie al contesto in cui operava.

Per le invenzioni realizzate nell’ambito di una commessa, occorre invece verificare attentamente se dal contratto risulta, in modo esplicito od implicito, che i risultati anche inventivi dell’attività affidata competevano al committente, cosa non scontata. Una corretta contrattualizzazione è dunque assolutamente opportuna, per prevenire possibili conflitti.

Per il design creato dai dipendenti e per quello realizzato su commissione le regole sono più semplici di quelle delle invenzioni: sia l’art. 38 del Codice della Proprietà Industriale, per i disegni e modelli, sia l’art. 12-ter della legge sul diritto d’autore, per le opere del disegno industriale, attribuiscono infatti al datore di lavoro i diritti sulle creazioni dei dipendenti di queste categorie (salvo sempre il loro diritto di esserne riconosciuti autori), mentre per le opere create su commissione di regola l’attribuzione dei diritti al committente è considerata un effetto naturale del contratto, naturalmente salvo patto contrario.

Se le opere sono create da più soggetti

Le cose tornano però a complicarsi quando ci troviamo di fronte ad opere create da più soggetti. Anche la legge sul diritto d’autore si occupa di regolamentare le opere dell’ingegno che sono il frutto del contributo creativo di più autori, distinguendo sotto questo profilo due categorie di opere: le opere collettive e le opere in comunione.

Le prime, come recita l’art. 3 della legge, sono “costituite dalla riunione di opere o di parti di opere, che hanno carattere di creazione autonoma, come risultato della scelta e del coordinamento ad un determinato fine letterario, scientifico, didattico, religioso, politico od artistico”; le seconde, disciplinate dall’art. 10, sono invece quelle create “con il contributo indistinguibile ed inscindibile di più persone”: nel primo caso i singoli contributi sono protetti singolarmente in capo agli autori di ciascuno di essi, ma il diritto sull’opera nel suo complesso spetta a colui che questi diversi contributi ha coordinato e raccolto; nel secondo, invece, il diritto d’autore appartiene in comune a tutti i coautori e si applicano le norme sulla comunione, come nel caso della contitolarità sulle invenzioni.

In questa prospettiva è chiaro che il ruolo di uno studio associato, che annoveri al suo interno plurime professionalità, viene esaltato, perché in tal modo esso può essere in grado di coprire un’ampia gamma di funzioni nella creazione di nuovi prodotti e di nuove opere: in questo caso decisivi sono la registrazione e l’uso appropriato di un marchio che sia idoneo a evidenziare questo ruolo di coordinamento e al quale quindi sia ricollegato un messaggio che lo valorizzi.

Ciò tuttavia non consente di superare le regole che abbiamo richiamato e che impongono di attribuire a ciascun soggetto il merito della propria opera, poiché sia il diritto morale d’autore, così come quello di essere indicato come inventore, non sono disponibili e dunque non possono essere ceduti o attribuiti in modo difforme dalla realtà (a differenza dei diritti patrimoniali, che possono invece essere sempre negoziati), purché per il diritto d’autore ciò avvenga in forma scritta (necessaria per dare la prova della cessione nei rapporti tra le parti) e purché di questi diritti disponga chi ne è realmente titolare.

La necessità di un inquadramento contrattuale per la tutela

Di nuovo, quindi, un inquadramento contrattuale appropriato è decisivo: tanto più che è tutt’altro che infrequente che nel design – e a più forte ragione nel design in cui la luce sia una componente del progetto – l’opera risulti dall’unione tra la creatività del progettista e quella di altri soggetti, che contribuiscono a trasformare il design in un’opera concreta.

La necessità che la creatività dell’autore non rimanga ad un livello astratto, ma si sia appunto concretata in un’opera è stato sottolineato dalla Corte di Giustizia Europea nella sua pronuncia del settembre 2019 nel caso Cofemel, il cui insegnamento è stato ribadito anche nella sentenza di quest’anno nel caso Brompton, nella quale la Corte ha anche chiarito che la tutela autorale è ammessa anche quando l’opera risponda anche ad esigenze funzionali, purché queste lascino comunque sussistere un margine di libertà all’autore, che gli consenta di esprimere il suo apporto creativo.

Dunque la protezione dei diritti sull’opera, o sul contributo, del singolo designer, e tanto più del lighting designer, nell’ambito di un lavoro di progettazione condotto all’interno di un più ampio gruppo di lavoro, dipende in gran parte dalla capacità negoziale (e quindi anche dal potere contrattuale) delle parti coinvolte, ma prima ancora dipende dalla consapevolezza dell’esistenza e dei presupposti, soggettivi e oggettivi, di questi diritti e quindi dal coinvolgimento in tutta la fase della creazione e dello sfruttamento di essi di esperti giuridici in grado di mettere anche le loro competenze specialistiche al servizio del mondo del design.

(a cura di Avv. Prof. Cesare Galli, Studio IP Law Galli, Milano)