
Il rapporto tra illuminazione e architettura è da sempre fondamentale, ma mai come ora è diventato decisivo: le luci non sono più soltanto un elemento che si inserisce negli edifici, ma diventano spesso una componente essenziale del progetto. Dunque anche proteggerle ha un’importanza sempre crescente, tanto per il creatore, come per il committente; ed anche in questo caso gli strumenti ci sono: occorre però sapersi orientare per scegliere quelli più idonei
Nello scorso mese di febbraio alcuni esempi interessanti si sono veduti nel Festival Internazionale delle Luci a Brescia, dove le installazioni luminose hanno infuso nuova vita ad opere architettoniche preesistenti, mostrandone così anche tutte le potenzialità per le opere “nuove”.
In primo luogo, le stesse soluzioni di illuminazione ed il loro inserimento nelle strutture architettoniche possono costituire la soluzione originale di un problema tecnico che apre la strada alla tutela brevettuale, come invenzione (e allora la tutela può arrivare a vent’anni) o come modello di utilità (dieci anni di esclusiva, nei Paesi che la riconoscono, tra cui anche il nostro). Viene subito da pensare a certe forme di illuminazione stradale innovativa che disegnano suggestivi cerchi di luce nelle nostre città, ma gli esempi potrebbero seguitare a lungo.
In tutti questi casi è indispensabile evitare di divulgare la propria innovazione prima di avere depositato la relativa domanda di brevetto: per le soluzioni tecniche infatti, la divulgazione, in qualunque Paese sia avvenuta, preclude la possibilità di tutelarle. Non è necessario neppure avere realizzato un prototipo: già l’idea di soluzione, purché realizzabile, permette di procedere alla brevettazione.
Gli eventuali perfezionamenti, o le specifiche forme di attuazione, potranno essere aggiunti anche in un secondo momento, in particolare depositando entro un anno dalla prima domanda di brevetto ulteriori che potranno rivendicarne la priorità. In questo caso la nuova domanda potrà tutelare sia l’innovazione di base, sia quella derivata, portando a un unico brevetto e quindi riducendo i costi sia per arrivare alla concessione del titolo, sia per i rinnovi necessari a mantenere in vita la protezione.
Non va dimenticato, a questo riguardo, che dal 2008 una convenzione stipulata tra l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e l’Ufficio Europeo dei Brevetti fa sì che le domande di brevetto italiane di primo deposito ricevano gratuitamente il rapporto di ricerca europeo, che consente di stabilire, entro l’anno di priorità, se vale la pena di coltivare la domanda, magari emendandola, o se vi sono altre creazioni anteriori di terzi che non ne consentono la tutela. Questa possibilità permette di abbattere i costi iniziali di brevettazione, investendo solo su ciò per cui vale veramente la pena di spendere risorse.
In altri casi è la registrazione per disegno e modello lo strumento di tutela: ciò accade tutte le volte in cui l’inserimento di una sorgente di illuminazione in un elemento architettonico può cambiarne l’aspetto esteriore: oggetti che si illuminano e che illuminano sono in grado di produrre un’impressione diversa da quella che gli stessi elementi genererebbero senza luce. Quando ci si trova in questa situazione, la registrazione come disegno o modello – meglio se effettuata col modello comunitario, titolo unico che copre tutti i Paesi dell’Unione Europea e può poi essere esteso entro sei mesi agli altri Paesi di interesse per il titolare – è la scelta appropriata.
Non si può neppure escludere il cumulo tra brevetto e design, quando l’effetto estetico conseguito è collegato ad un’innovazione tecnica, ma non ne è il risultato necessitato: in questi casi spesso la doppia protezione è possibile, ma il coordinamento tra le diverse domande di protezione non sempre è agevole e richiede molta attenzione nel drafting delle domande.
Inoltre, mentre come abbiamo visto la divulgazione priva di ogni valore la brevettazione di un’invenzione, per i modelli è previsto un anno di tempo dalla prima divulgazione per poter procedere alla registrazione, e anche in assenza di registrazione le nuove forme che producono un’impressione generale diversa da quelle anteriormente divulgate sono protette per un triennio contro la copiatura anche in assenza di registrazione.
Il lighting designer come coautore dell’opera architettonica
Quando poi l’illuminazione diventa una componente del progetto d’architettura, è possibile riconoscere al lighting designer la dignità di coautore dell’opera architettonica risultante: perché questo avvenga, naturalmente, occorre che il suo contributo abbia natura non puramente tecnica, ma anche estetica e che di quest’opera la luce rappresenti parte integrante e non semplice elemento aggiuntivo ed estrinseco.

Quando questo avviene, il contributo creativo del lighting designer che non possa essere distinto da quello degli altri autori dell’opera può dare luogo ad un’ipotesi di comunione sui diritti d’autore relativi all’opera di architettura risultante, compresi i diritti morali.
In questo caso, anzi, in mancanza di diversi accordi scritti a ciascun coautore spetta una quota eguale e tutti hanno diritto a far valere anche autonomamente dagli altri questi diritti morali, opponendosi alle modifiche dell’opera che possano essere pregiudizievoli all’onore e alla reputazione dell’autore, intesa essenzialmente come reputazione artistica.
Il tema della tutela morale delle opere protette dal diritto d’autore – che ha formato oggetto di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale di cui si è sentita l’eco anche fuori degli ambienti giuridici, in particolare in relazione alle interruzioni pubblicitarie dei film trasmessi per televisione – si presta ovviamente ad un’ampia discrezionalità da parte del Giudice al quale la questione dovesse venire sottoposta: per rendersene conto si consideri che si è ad esempio considerata lesiva dei diritti morali dell’architetto progettista la costruzione di una chiesa che, pur riprendendo l’idea originale del progetto architettonico, vi apportava modifiche nelle proporzioni, nei volumi e nei materiali utilizzati.
Peraltro l’art. 20, comma 2° legge sul diritto d’autore, proprio con specifico riferimento alle opere dell’architettura prevede la facoltà per il committente di apportarvi le modifiche che “si rendessero necessarie”, intendendosi come tali quelle imposte da ragioni tecniche, giuridiche e – almeno secondo una parte della giurisprudenza – anche economiche; e a sua volta l’art. 22, comma 2° legge sul diritto d’autore stabilisce che “l’autore che abbia conosciute ed accettate le modificazioni della propria opera non è più ammesso ad agire per impedirne l’esecuzione o per chiederne la soppressione”.
Non va poi dimenticato che i diritti d’autore – ed in primis quelli patrimoniali – si estendono anche alla riproduzione delle opere e all’utilizzo di esse in altri contesti, ad esempio come sfondo di immagini pubblicitarie: anche questo sfruttamento non può essere realizzato senza il consenso dei titolari dei diritti sull’opera e comunque non può andare a pregiudizio della reputazione dell’autore o degli autori di essa, compreso quindi il lighting designer, se sussistono i presupposti per riconoscergli la qualità di coautore.
Ancora una volta è quindi chiaro che al progettista della luce si aprono possibilità nuove non solo di esercizio della sua creatività, ma anche della protezione di essa. Ciò che occorre, in tutti i casi, è la consapevolezza dei diritti che ne possono scaturire e un’assistenza legale specialistica che gli consenta di esercitarli e valorizzarli nel modo migliore.
(Avv. Prof. Cesare Galli, Studio IP Law Galli, Milano)