Industrial Design

Addio al “valore artistico” per le opere?

(courtesy: FLOS)

Attualmente la protezione delle opere di industrial design col diritto d’autore non richiede alcuna formalità di registrazione e dura settant’anni dopo quello della morte dell’autore. Tuttavia, dopo la pronuncia della sentenza del 12 settembre 2019 della Corte di Giustizia europea nella causa C-683/17 (Cofemel-Sociedade de Vestuario, SA / G-Star Raw CV), che sembra abbassare la soglia per avere diritto a questa protezione, rendendola accessibile a una platea molto più larga di creazioni, tutto potrebbe cambiare

..“Potrebbe”, perché questa sentenza si presta anche ad essere interpretata in un modo meno rivoluzionario, ma è chiaro che designer e imprese del mondo dell’illuminazione devono essere preparati per sfruttare al meglio le opportunità (e per fronteggiare i pericoli) che una lettura più aperta di questa decisione possono portare.

Il problema su cui in Italia ci si aspettava che la Corte facesse chiarezza – anche sulla base delle aspettative che venivano dalle conclusioni dell’Avvocato Generale – era quello di stabilire se sia ammissibile che la legislazione nazionale di uno Stato membro dell’Unione Europea subordini la protezione di diritto d’autore sul design a requisiti ulteriori rispetto a quelli richiesti per tutte le altre opere tutelate col diritto d’autore.

Si tratta infatti di un tema che assume speciale rilievo per l’Italia, perché il legislatore italiano ha ammesso solo nel 2001 – in attuazione di una Direttiva comunitaria – che una stessa forma possa essere tutelata sia come disegno o modello (mediante la registrazione o come modello comunitario non registrato), sia in base al diritto d’autore, ed eventualmente solo con quest’ultimo, se la registrazione non è stata chiesta o è scaduta ed è scaduta anche la protezione solo triennale (decorrente dalla prima divulgazione) riconosciuta ai design non registrati.

Questo cumulo di protezione è stato però introdotto dal legislatore italiano con molta prudenza, perché nel nostro Paese la tutela del diritto d’autore non è stata concessa a tutte le opere di design dotate di creatività (unico requisito di accesso alla tutela per altre opere protette), ma solo a quelle che “presentino di per sé carattere creativo e valore artistico” (art. 2 legge italiana sul diritto d’autore).

Questa formula sembrava scritta apposta per creare un rebus inestricabile, a cominciare dall’espressione “di per sé”. Questa espressione è stata talvolta interpretata, anche dalla giurisprudenza, nel senso che la tutela ci sarebbe solo per gli oggetti che non sono pensati soprattutto in funzione del loro uso quotidiano, mentre la caratteristica del design è proprio quella di portare l’arte nel quotidiano, di rendere delle forme, che hanno valore artistico, forme della nostra vita quotidiana.

Questa interpretazione, che fa rientrare dalla finestra il requisito della scindibilità appena uscito dalla porta, è del resto incompatibile con le norme del diritto comunitario, che ne hanno imposto espressamente l’abbandono: essa infatti è stata respinta dalla migliore dottrina e presto accantonata anche dai Giudici.

La portata della norma italiana è comunque limitativa, perché ammette alla tutela di diritto d’autore le opere del design solo a condizione che possiedano non solo carattere creativo – come tutte le opere tutelate – ma anche valore artistico, un valore che deve dunque essere oggetto di specifica valutazione da parte del giudice. In pratica, questo significa che in Italia la tutela di diritto d’autore viene riservata alle opere del disegno industriale di livello più elevato, alla fascia alta del design, spesso rivelate come tali proprio dalla “lunga durata” del loro apprezzamento da parte del pubblico, oltre le mode e l’evoluzione del gusto, e dai riconoscimenti ottenuti dalla critica d’arte.

Restava tuttavia il problema di capire se questa limitazione era legittima: di qui l’attesa per la pronuncia ora resa dai Giudici dell’Unione, chiamati a interpretare un’altra Direttiva rilevante in questa materia, la n. 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, sulla base di una richiesta proveniente dal Portogallo, che a sua volta ha una legislazione nella quale la protezione del diritto d’autore del design non segue le regole generali.

In realtà i quesiti sottoposti dai Giudici portoghesi alla Corte europea sembravano piuttosto chiederle se per il design potessero esservi requisiti alternativi, piuttosto che aggiuntivi, a quelli delle altre opere protette. La risposta della Corte era dunque scontatamente negativa, avendo i Giudici comunitari già da tempo statuito che quella di opera tutelata dal diritto d’autore è “una nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata e applicata in modo uniforme”.

Analisi della motivazione delle valutazioni della Corte di Giustizia

Nella motivazione della risposta della Corte assumono però particolare rilievo per il diritto italiano i punti 29-35 della motivazione, perché da essi sembra risultare che, per la Corte di Giustizia, anche per le opere di design gli unici requisiti per la protezione di diritto d’autore sono, da un lato, la creatività e, dall’altro, il fatto che la creazione si concreti in un quid obiettivo, dotato di valore espressivo e identificabile (appunto l’opera).

Il punto 35, in particolare, sembra chiaro nell’affermare che, quando questi due requisiti sussistano, la protezione deve essere concessa dagli Stati membri: se fosse così, ciò significherebbe che non c’è spazio per un “filtro”, come quello che la legge italiana (e la giurisprudenza che l’ha interpretata) aveva previsto, ossia quello del valore artistico. In pratica, verrebbe recepita la teoria dell’‘unité de l’art’, codificata in Francia sin dal 1909, che protegge le opere della cosiddetta “arte applicata” allo stesso modo di tutte le altre.

Questa è una soluzione saggia? Sotto certi aspetti dovremmo dire di sì. Discriminare diverse categorie di opere rischiava di fare a pugni, anche da noi, col principio costituzionale di eguaglianza. Sotto altri aspetti, però, una distinzione per le opere dell’arte applicata poteva dirsi giustificata proprio dai maggiori effetti anticoncorrenziali che una protezione di così lunga durata come quella autorale (settant’anni dopo l’anno di morte dell’autore, che per le opere create in gioventù da un autore molto longevo può significare anche centocinquant’anni di protezione…) produce quando vengono in considerazione prodotti industriali.

Vi è poi un secondo problema ed è quello dell’affidamento dei terzi: i progetti di design che non si traducono in prodotti concretamente realizzati (ma che sono “opere” a tutti gli effetti) sono innumerevoli e non è prevista per gli stessi nessuna forma di pubblicità, dal momento che – come si diceva – la tutela di diritto d’autore non può essere subordinata ad alcun adempimento di carattere formale.

Il rischio è che un operatore si veda inibire la prosecuzione della realizzazione di un prodotto da un soggetto che ne abbia disegnato un altro simile prima di lui, nonostante egli lo ignorasse. L’assenza di colpa potrebbe consentirgli di evitare di versare un risarcimento (ma la giurisprudenza prevalente ritiene che sia comunque dovuta in questo caso la retroversione degli utili): intanto però i suoi investimenti rischiano di essere vanificati.

Italia: operare comunque una revisione dei criteri

In Italia si imporrà dunque un ripensamento e un approfondimento di molti temi discussi, a cominciare da quello dei c.d. incontri fortuiti (cioè alle creazioni eguali o simili realizzate in via autonoma da autori diversi), cui non sembra possibile applicare il criterio della prevenzione, che accorda tutela al primo che l’ha realizzata anche contro il secondo.

Parimenti in Italia sarà necessario delineare meglio i confini tra l’elaborazione di un’opera protetta, che non può essere sfruttata in costanza della protezione dell’opera originaria senza il consenso del titolare dei diritti esclusivi su di essa, e la possibilità di trarne spunto per realizzare opere autonome, che come tali non interferiscono con questi diritti esclusivi.

Applicare alle opere del design i criteri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina italiane in relazione essenzialmente alle opere letterarie richiede infatti un prudente adattamento, per evitare protezioni ipertrofiche, che si estendano non solo all’espressione (unico oggetto della tutela autorale), ma anche alle idee sottostanti (invece non monopolizzabili) o agli aspetti utilitari del prodotto (proteggibili solo sul piano brevettuale).

Queste preoccupazioni emergono molto chiaramente nelle conclusioni dell’Avvocato Generale, che si poneva anche il problema della concreta sussistenza di un’opera tutelabile in relazione alle creazioni del design. Ciò apre la strada ad un approccio multidisciplinare all’accertamento della creatività del design e della stessa effettiva esistenza di un’ “opera”, che potrebbe anche includere la valorizzazione degli elementi attraverso i quali la giurisprudenza italiana giunge oggi ad apprezzare la sussistenza del “valore artistico”, tornando dunque alla regola attuale.

Questa sentenza, se verrà interpretata nel senso che si diceva sopra, avrà in Italia un impatto rilevante, portando probabilmente ad un aumento del contenzioso e ad una maggiore incertezza.

( a cura di avv. prof. Cesare Galli, Studio IP Law Galli, Milano)