
“Tutto quello che volevo fare era dipingere la luce del sole sul lato di una casa”.
(Edward Hopper)
Un incontro del tutto particolare quello che facciamo in questa puntata di Key light. ‘Shirley – visions of reality’ di Gustave Deutsch è una abbuffata del senso della vista. I 13 tableaux vivants in cui si articola la storia del film processano la cultura americana attraverso 30 anni di pittura di Edward Hopper (e 30 anni di storia americana). Il viaggio inizia con “Motel room” del 1931 e si conclude con “Sun in an empty room” del 1961.
Apre e chiude il film lo stesso dipinto, che fa da cornice a tutta la narrazione: “Chair room” del 1968. Il monologo interiore di Shirley, emancipata attrice americana, protagonista assoluta del film (e dei dipinti), è il racconto di una mancata identificazione con lo stereotipo americano.

Per un direttore della fotografia fare un film su un pittore è la sfida delle sfide, ma il rischio è sempre dietro l’angolo. Il confronto è inevitabile e di solito non se ne esce bene.
Jerzy Palacz, il direttore della fotografia, illumina le 13 scene con vivo rigore filologico. Nessuna visione ‘altra’. Ha evitato l’interpretazione e la personale visione della pittura di Hopper. Ha ‘solo’ incredibilmente imitato la luce dei suoi dipinti.
“Non sono molto d’accordo con il credere che un’opera cinematografica sia inferiore ad un’opera pittorica nel caso in cui i due sistemi si ‘sfidino’. Naturalmente, è un compito molto difficile, una sfida nella sfida, infatti, con molti rischi artistici e tecnici. Il lavoro di Edward Hopper ha ispirato molti registi. Penso ad Alfred Hitchcock, ma anche a Wim Wenders e a Jim Jarmusch, poeti contemporanei di immagini in movimento. Dobbiamo distinguere però tra ispirazione e trasposizione. Il regista Gustav Deutsch ha osato la trasposizione di tredici dipinti di Hopper nel complesso linguaggio cinematografico e li combina con una storia individuale”.
Mai come in questa puntata il termine Key Light è d’obbligo. Come trasmetterò il calore, il freddo, il giorno, la notte, la pioggia, l’amore, il dolore, la felicità, la solitudine se utilizzo l’immagine? Con la luce, la luce chiave.

“La verità dell’immagine è una luce progettata
Osserviamo con convinzione “Western Motel” del 1957. La traiettoria che assume la luce entrando dalla finestra e l’inclinazione dell’ombra ci dicono esattamente che momento della giornata è. Il taglio di luce (altro modo di chiamare la luce chiave) definisce l’atmosfera. Il sentimento che ci arriva attraverso il senso della vista è tutto mediato, filtrato dalla luce. Per quanto possa sembrare unica, la luce cinematografica (come quella del dipinto) non è mai tale. Bisogna usare più luci per dare l’illusione che ad illuminare il set sia un’unica luce.

Il rimbalzo sulle pareti, sul pavimento, le penombre sono effetti provocati dalla fill light che viene invisibilmente usata per posporre alla luce chiave un’antagonista in grado di creare profondità, tridimensionalità all’immagine. In una parola: contrasto.
“Nel dipinto “CHAIR CAR” il sole penetra attraverso quattro finestre a destra creando così quattro punti luce. L’effetto è molto bello, soprattutto fra i sedili, ma ricostruire gli stessi effetti di luce naturale prodotti da Hopper era semplicemente impossibile.”

Salta agli occhi che il punto di bianco del film risulta essere molto più neutro rispetto alla dominante verde del dipinto. L’aspect ratio del film è 1,85 : 1, differente dalla maggior parte dei dipinti di Hopper che spesso sono un anomalo rettangolo con il lato lungo in verticale. La luce esonda dalle finestre del vagone che sono rivolte – ci permettiamo di immaginare – ad ovest. Nella parte in ombra sulla sinistra, invece, spicca il rosso del vestito, unico elemento ‘alieno’ nell’assoluta uniformità tonale e cromatica.
Per riprodurre in modo artificiale la luce naturale solare proposta nell’opera di Hopper
Per ripercorrere l’efficienza luminosa dei dipinti di Hopper, dove domina quasi sempre il sole che prepotente entra dalle finestre, Palacz ha usato apparecchi di illuminazione a lente di Fresnel. Questo significa dichiarare la luce incidente con molta forza sia come intensità che come direzionalità, proprio come fa il sole / luce guardando le ombre sul pavimento del vagone.
“Le relazioni tra la luce e le ombre dovevano essere esattamente le stesse dei dipinti. La luce doveva venire da posizioni stabilite con precisione, per soddisfare sia la direzionalità che la giusta intensità. Per questa ragione per tutto il film ho utilizzato un parco lampade al tungsteno tra i 10 kW e 100 W, tutti collegati ad un dimmer pack che ci ha dato una grande libertà e flessibilità nel fare la luce.
In alcune immagini abbiamo dovuto scendere a compromessi perché il movimento degli attori all’interno della scena provocava effetti indesiderati sulla proiezione delle loro ombre. Abbiamo dedicato molto tempo alla ricerca del giusto equilibrio tra le diverse lampade, ma anche per l’impostazione e il rigging di diverse bandiere e gobbi per evitare qualsiasi ombra indesiderata. In alcune delle scene abbiamo dovuto ridipingere la pareti o il fondo, perché abbiamo scoperto che con la luce che utilizzavamo la texture cambiava.

La definizione del colore è strettamente legata alle sfumature e alla caratteristiche della luce. Ma queste caratteristiche a loro volta vengono modulate, poiché la luce e la sua riflessione dipendono dal materiale dell’oggetto che viene colpito. A volte è stato un lavoro davvero molto difficile.”
La lente di Fresnel – pensata dall’omonimo ingegnere francese per aumentare il potere diottrico di una lente e contemporaneamente diminuire gli ingombri – focalizza la luce con maggior convergenza rendendo la sorgente luminosa più puntiforme. Questo permette di ottenere delle ombre nette.
Questa tecnologia ottica è applicata agli apparecchi di illuminazione detti proiettori Fresnel, che possono essere alimentati da corrente alternata variabile per aumentare o diminuire la loro efficienza luminosa, controllati da banchi luce -centraline dimmer pack che agiscono con dei resistori sull’erogazione della corrente elettrica.
(Alessandro Bernabucci, Education Manager SHOT Academy – Formazione professionale per il Cinema, Roma)
SHIRLEY – VISION OF REALITY (2013)
by Gustav Deutsch
Director of Photography: Jerzy Palacz
TECHNICAL SPECIFICATIONS
Aspect ratio: 1,85:1
Camera: Arri Alexa
Cinematographic process: ProRes 4:4:4
Lenses: Zoom Angenieux Optimo 24-290 mm. T/2.8
Printed film format: DCP
Per approfondimenti
https://www.collater.al/shirley-visions-of-reality/
http://shirleyvisionsofreality.com/
https://www.youtube.com/watch?v=Qj_oe08rOTY
https://www.yatzer.com/shirley-visions-of-reality-edward-hopper
http://www.gustavdeutsch.net/index.php/en/films-a-videos/292-shirley-visions-of-reality.html